Nel 1918, Janusz Korczak riporta dal fronte un manoscritto composito e strutturato. Sarà la sua opera fondamentale. Aveva servito la Polonia come ufficiale medico. Aveva fatto del suo meglio ed era riuscito a distinguersi per le sue capacità e abnegazione. Era la sua seconda esperienza bellica (era stato addirittura mandato in Manciuria nel 1905 durante il conflitto russo-giapponese). La guerra per lui, pacifista ante-litteram, consisteva nel salvare più vite possibile. Solo questo.
Nei momenti per così dire liberi scriveva di getto, “nel frastuono dei cannoni” come osserverà, non dei tragici e sanguinosi avvenimenti che stava in quei giorni vivendo, ma scriveva di educatori, di bambini e del Dom Sierot, l’orfanotrofio ebraico di Varsavia da lui ideato, costruito e diretto. Fu questa la prima volta che Korczak sorprese: i bambini, e non la guerra. Così come, dinnanzi alla fine, nel 1942, stupirà il mondo intero il fatto che il suo Diario del Ghetto parlasse relativamente poco dei nazisti e della tragedia totale intorno a lui, ma piuttosto dei suoi bambini e – soprattutto – della propria infanzia. Nel mentre la morte si avvicinava, lui riscopriva il sé bambino…
Il manoscritto, già intrapreso nel 1912, era Come amare il bambino. Uno dei testi maggiori dell’intera storia della pedagogia. Un testo lungo e intenso, ma facilmente comprensibile, diviso in 4 distinte parti.


Nella prima, “Il bambino in famiglia”, Korczak rivela non solo le sue capacità di scrittore e di pedagogo, ma anche di medico:
Dici: “Il mio bambino”. Quando se non durante la gravidanza, ne hai maggiore diritto? Il battito del suo cuore, minuscolo come un nocciolo di pesca, è eco del tuo. Il tuo respiro porta ossigeno anche a lui. Un unico sangue scorre in lui e in te, e neanche una delle sue rosse gocce potrebbe dire se rimarrà tua o se diverrà sua, o se sarà versata in tributo al mistero della concezione e del parto. Il boccone di pane che stai masticando gli serve per formare le gambe sulle quali un giorno correrà, la pelle che lo rivestirà, gli occhi con cui guarderà, il cervello in cui farà risplendere il pensiero, le mani che tenderà verso di te, il sorriso con cui chiamerà “mamma”. […] soffrirete insieme di un dolore comune. Rintoccherà una campana, una parola d’ordine: “è l’ora”. E contemporaneamente lui dirà “Voglio vivere la mia vita”; tu dirai: “Vivi ora la tua vita”. Con possenti contrazioni delle viscere lo espellerai, senza badare al suo dolore; lui si farà strada con forza e determinazione, senza badare al tuo dolore. Un’azione brutale.
Consapevole del valore dell’educazione nel senso più ampio ed elevato del termine, Korczak non trova un legame diretto con la madre se non quello, incommensurabile, dell’amore: quello fisico, o del sangue, non rappresenta di per sé l’alba di un nuovo essere umano: No: sia tu sia il tuo bambino, con centomila impercettibili sussulti accorti e abilissimi, farete in modo che, prendendosi la porzione di vita assegnatagli, non porti via più di quanto non stabilisca il diritto universale ed eterno. “Il mio bambino!” No, neppure durante i mesi dell’attesa, neppure nelle ore del parto, il bambino è tuo.
La sofferenza di ogni nascita, l’ansia, meravigliata e stupenda, dell’attesa, converge su uno dei pensieri maestri di Korczak, ovvero che la gioia, quella profonda, passi anche attraverso la sofferenza. La sofferenza (ma pure il disagio e, se vogliamo, anche la paura) è necessaria proprio per comprendere la bellezza del vivere. Gli opposti permettono all’uomo, in quanto consapevole della sua caducità, di apprezzare i doni della natura e, più genericamente, ogni elemento del proprio percorso. Come scrisse Einstein, La gioia del guardare e del comprendere è il dono più bello della natura. E volentieri rimandiamo anche a quanto Romain Rolland scrisse a Freud circa il Sentimento oceanico: la bellezza dell’universo che può racchiudersi in un palmo di mano o dentro il cuore umano, per quanto inarrivabile e invincibile.
Korczak procede in questa prima parte del libro sottolineando quanto il “poco” di un neonato rappresenti l’ampiezza del mondo. Questo bambino infatti pesa dieci libbre, otto di acqua e una manciata di carbonio, calcio, azoto, zolfo, fosforo, potassio, ferro, ci avverte. Il bambino che hai partorito è otto libbre di acqua e due di cenere. Ogni gocciolina di questo tuo figlio era vapore di nube, cristallo di neve, nebbia, rugiada, sorgente, torbido canale di scarico. Ogni atomo di carbonio o di azoto si legava in milioni di combinazioni. Tu hai solo raccolto e messo insieme tutto questo, così com’era… La Terra è sospesa nell’infinito…
È come se Korczak sapesse già tutto, senza esami clinici come oggi siamo abituati a svolgere. Come se guardasse all’interno e al contempo all’esterno del ventre materno. E l’osservazione si collega poi alla provenienza ancestrale della nascita: È un bambino di molti, figlio della madre e del padre, dei nonni e degli avi. Qualche lontano “io” che dormiva in una schiera di antenati, una voce levantesi da una sepoltura da tempo dimentica, improvvisamente comincia a parlare attraverso il tuo bambino.
“Il bambino in famiglia”, contiene molte informazioni sul bambino, e non solo riguardo la sua nascita. Parla di come affrontare le sue possibili malattie e della sua migliore alimentazione, dei suoi sentimenti e quindi della sua timidezza, fornisce un quadro dei rapporti con i genitori (soprattutto con la mamma) e con gli altri bambini con i quali gioca (dice: il gioco non è tanto l’elemento del bambino, quanto l’unico campo in cui gli è permesso prendere l’iniziativa in senso stretto o più generale). Include del resto anche la richiesta al mondo di una Magna Charta Libertatis a favore del bambino, delineandone i Diritti fondamentali (1. Il diritto del bambino alla morte: 2. Il diritto del bambino alla sua vita presente; 3. Il diritto del bambino a essere quel che è). Ed è in questa narrazione che pone con voluto rilievo, pur sempre con la benevolenza che lo distingue, una sorta di diritto primigenio: Non si è cristallizzato in me, né è stato ancora confermato il parere che il primo diritto incontestabile del bambino è quello a esprimere ciò che pensa e a prendere attivamente parte alle considerazioni e alle sentenze che esprimiamo a suo riguardo. Quando arriveremo a rispettarlo e ad aver fiducia in lui, quando lui stesso si fiderà e parlerà, cosa di cui ha diritto, allora ci saranno meno problemi e meno errori.
Questo inciso spalanca una delle porte principali di ogni discorso sul bambino. Non solo perché è alla base della Carta dei Diritti del fanciullo del 1989 (the best interest of children), ma di più perché si lega direttamente al concetto di ascolto e da questo alla reciprocità dialettica. Se Korczak scrive che al piccolo bisogna dire tutto proprio tutto, è vero anche che occorre che questi risponda, che ci sia un autentico incontro tra l’adulto e il bambino. Questa considerazione conduce al superamento dell’istruzione (familiare, scolastica) che è unidirezionale, a favore della più consona educazione fondata sulla reciprocità. Dall’ascolto, alla dialettica, alla reciprocità. Quindi alla condivisione. È questa la prassi maggiormente opportuna a chi con i bambini e i ragazzi passa il proprio tempo e quindi cresce volendo crescere con loro. Di chi vive con loro e non solo per loro. La reciprocità dialettica fa crescere anche l’educatore. Infatti, egli va a conoscere il bambino nella sua olistica naturalità. La conoscenza sta alla base del tutto, da essa si trae il corpus del comune sentire verso la comprensione (dualità). Non casualmente Korczak dedica le parti 2 e 3 di Come amare il bambino all’educatore, a quell’educatore che lui è stato, raccontandone l’esperienza diretta in internato e presso le colonie estive.
All’educatore (e dell’educatore) dice: Sii te stesso – cerca la tua strada. Cerca di conoscere te stesso prima di voler conoscere i bambini. Un passo molto conosciuto che molti accostano al principio socratico. Il fatto è che per Korczak, come per Martin Buber (1878-1965), oltre la capacità del bambino in sé di sapersi proteggere, è l’altro che fa te stesso. Non ci si conosce da soli, occorre l’osservazione, e, di più, l’incontro con l’altro. È questa l’interpretazione che si può dare al prosieguo del passo:
Renditi conto di che cosa sei capace prima di delimitare la sfera dei diritti e dei doveri dei bambini. Fra tutti quei bambini tu stesso sei un bambino che devi conoscere, allevare ed educare.