Televisione, scuola e lettura nella società dell’accelerazíone
Vinicio Ongini
Studioso di letteratura per l’infanzia
“Tra le molte virtù di Chuang-tzu c’era l’abilità nel disegno.
Il re gli chiese il disegno d’un granchio.
Chuang-tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. ‘Ho bisogno di altri cinque anni’ disse Chuang-Tzu. ll re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang~Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto”.
(Italo Calvino, Lezioni americane)
L’apologo citato appartiene a uno dei capolavori della letteratura cinese taoista, lo Zhuang-zu (IV sec. d.C.) ed è posto a conclusione della seconda delle Lezioni americane che Calvino aveva scritto per la Norton Lectures nel 1985, pochi mesi prima di morire. È un elogio della lentezza? No, è al contrario un elogio della rapidità: “ogni valore che scelgo come tema delle mie conferenze, l’ho detto in principio, non pretende d’escludere il valore contrario: come nel mio elogio della leggerezza era implicito il mio rispetto per il peso così questa apologia della rapidità non pretende di negare i piaceri dell’indugio”.
Don Abbondio e Pollicino: l’indugio e la rapidità
E come esempio di velocità narrativa e massima economia di tempo Calvino racconta l’inizio di una fiaba:
Un re si ammalò. Vennero i medici e gli dissero: “Senta maestà, se vuol guarire bisogna che lei prenda una penna dell’Orco. È un rimedio difficile, perché l’Orco tutti i cristiani che vede se li mangia”. Il re lo disse a tutti ma nessuno ci voleva andare. Lo chiese a un suo sottoposto, molto fedele e coraggioso, e questi disse: “Andrò”. Gli insegnarono la strada: “In cima a un monte ci sono sette buche: in una delle sette, ci sta l’Orco”. L’uomo andò e lo prese il buio per la strada. Si fermò in una locanda… (Fiabe italiane, 57).
Non ci sono descrizioni né, indugi o rallentamenti: cosa sono quelle sette buche, e quanto è lontana la montagna? Gli eroi delle fiabe non si fermano a dare spiegazioni e soprattutto non camminano, volano. Nonostante il rituale attacco “cammina, cammina entrarono in un bosco scuro…” l’ingresso nel mondo del meraviglioso è all’insegna della velocità: si scavalcano montagne e foreste, si attraversano i secoli, si va incontro a metamorfosi fulminee. Al confronto Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, che è nato invece negli anni (seconda metà dell’Ottocento) dell’epica positivistica dei record, delle macchine volanti, della velocità dei nuovi mezzi di trasporto, appare come una corsa di tartarughe. Nel suo ciclo di Norton Lectures (Harvard University, 1993) un altro scrittore italiano, Umberto Eco, riprende le osservazioni di Calvino sulla rapidità narrativa delle fiabe per fare invece un elogio dell’indugio (”Indugiare nel bosco”, 3. lezione) in che modo, con quale passo leggiamo un romanzo? Perché un testo rallenta, si ferma, prende tempo e perde tempo? E come fa un testo a imporre un tempo di lettura al lettore?
Ci sono due modi di leggere un testo così come ci sono due modi di attraversare un bosco. Uno è quello di arrivare rapidamente alla casa della Nonna, facendo la strada più breve e più sicura, senza perder tempo e tenendo gli occhi ben aperti. L’altro, se non si è obbligati a uscirne a tutti i costi per sfuggire al Lupo o all’Orco, è quello di passeggiare senza meta, e talora proprio per il gusto di perdere la giusta via, per osservare i fiori, i funghi, il gioco della luce tra gli alberi, la forma delle foglie, le tracce degli animali. Insomma per “leggere” il bosco serve indugiare, rallentare, perdere tempo. Prendiamo I promessi sposi, dice Eco, uno dei libri più letti nella scuola italiana, “adottati” come una lettura obbligatoria e anche per questo forse più detestati.
Un curato di campagna del XVII secolo, la cui principale dote è la vita, mentre una sera torna a casa recitando il suo breviario vede qualcosa che non avrebbe affatto desiderato vedere, e cioè due bravi che lo stanno attendendo. Un altro autore vorrebbe soddisfare subito la nostra impazienza di lettori e ci direbbe subito che cosa accade: cut to the chase. Non così Manzoni. Egli fa qualcosa che al lettore appare inconcepibile. Impiega alcune pagine, ricche di particolari storici, a spiegarci chi erano a quel tempo i bravi. E poi quando ce lo ha detto, rimette in scena Don Abbondio, ma non lo fa incontrare coi bravi. Indugia ancora.
Un altro modello di lentezza è, secondo Eco, la macchina narrativa della Divina Commedia:
questo viaggio non è altro che un lungo, interminabile indugio, nel corso del quale incontriamo centinaia di personaggi, siamo coinvolti in dialoghi sulla politica del tempo, sulla teologia, sull’amore e sulla morte, assistiamo a scene di sofferenza, di malinconia, di gioia, e spesso desideriamo saltare per accelerare il passo, ma soltanto sappiamo pur sempre che il poeta sta procedendo con maggiore lentezza, e quasi ci volteremmo indietro per attendere che ci raggiunga.
Ma anche la Bibbia era apparsa, a un lettore sottile come sant’Agostino, una macchina pigra: tutte quelle descrizioni inutili di palazzi, di vestiti, di profumi. Possibile che Dio, ispiratore dell’autore biblico, perdesse tanto tempo? Dunque i due campioni appena presentati, scesi in campo sotto le insegne araldiche di Pollicino e Don Abbondio, l’uno come alfiere della rapidità (Calvino), l’altro della lentezza e dell’indugio (Eco), potrebbero benissimo rappresentare la coppia di opposti per eccellenza: la lepre e la tartaruga. Animali totemici, ormai, campioni di una sfida che si perde nella
notte dei tempi, eppure sempre lì, pronti a saltare in pista, incuranti di microprocessori e cd-rom, alte velocità e autostrade telematiche.
La lepre e la tartaruga al tavolo del G7
Che cosa ci fa per esempio il disegno di una tartaruga sul fianco della motrice degli Intercity, i treni “rapidi” italiani? E cosa ci facevano due animali a Bruxelles, “La lepre e la tartaruga al tavolo del G7”, La Repubblica, 25 febbraio 1995? Sono stati invitati alla riunione dei sette paesi più industrializzati del mondo dedicata alla società dell’informazione: telematica, interattività, reti globali, autostrade telematiche, per rappresentare la gara di velocità del futuro, quella che si gioca sulle informazioni, tra gli Stati Uniti (la lepre) e l’Europa (la tartaruga). Una gara già cominciata e che ci coinvolge tutti. Mai come oggi siamo inondati di informazioni in tempo reale. Tutto arriva senza che ci sia bisogno di spostarsi fisicamente. Una coltre quasi ininterrotta di notizie, commenti, affabulazioni, immagini, parole, consumi ci dice costantemente cosa succede nel mondo, che cosa dobbiamo pensare. Insomma siamo nel bel mezzo di quei tempi moderni nei quali la velocità rappresenta un valore fondante. Una modernità che considera la lentezza, l’indugio, una perdita di tempo, uno spreco, un ostacolo. Ogni epoca si è riconosciuta in nozioni, in parole chiave che hanno espresso in modo sintetico la sua sensibilità e il suo tono emozionale. Sotto quali insegne sta il sentire di oggi?
Forse la parola chiave, lo “spirito del tempo”, sta nella velocità, anzi nell’accelerazione. Un pubblicitario ha definito la nostra la società dell’”effervescenza”, quel tono spumeggiante, spesso esaltato, che dà ritmo e vibrazione al consumo. I consumi hanno occupato la vita quotidiana, sono diventati segni d’identità, cultura diffusa, un tratto fondamentale del nostro modo di vivere. Siamo nella società in cui si celebra, come in Alice nel paese delle meraviglie, la “festa del non compleanno”.
Altri invece preferiscono usare la nozione di “eccitazione” per definire il sentire presente: “come dice il titolo di una canzone del gruppo rock americano Primus, The air is getting splippery, l’aria si fa tesa, sdrucciolevole, instabile, ambigua: nella musica, nelle arti, nei mass-media, le antenne del sentire collettivo registrano 1’avvento di forme di esperienze sconosciute e presentano quelle conosciute sotto un aspetto stravolto e irriconoscibile. Quando ogni merce deve presentarsi come ‘eccitante’, ‘audace’, ‘graffiante’, è segno che nell’immaginario sociale sono in atto trasformazioni profonde”.
Oggi attraverso le autostrade elettroniche e lo sviluppo istantaneo dell’informazione su scala mondiale si crea una situazione in cui il sistema dei mezzi di comunicazione di massa ha un enorme potere. Un potere che nasce dal1’istantaneità, che produce reazioni immediate ed emotive, che riduce il tempo della riflessione e abolisce gli intervalli, le pause.
Anche un volo supersonico è limitato da un tempo di viaggio reale; c’è una partenza, un arrivo, un attraversamento. Su queste nozioni si sono organizzate la storia e la geografia delle società. Ma con il tocco a distanza del telecomando, con l’interattività, siamo al paradosso. Tutto arriva senza che ci sia bisogno di spostarsi o di partire. Siamo di fronte a una clamorosa inversione di tendenza. La società dell’accelerazione, dell’istantaneo, produce nuove lentezze. Se l’invenzione di nuovi mezzi di trasporto e di divertimento (l’automobile, l’aeroplano, il cinema) avevano provocato la mobilità sociale delle persone, i nuovi mezzi di trasmissione istantanea provocano inerzia. Ci si può collegare con il mondo, comprare, vendere, lavorare, divertire, senza spostarsi da casa.
Paul Virilio, studioso della velocità e del tempo (Lo schermo e l’oblio, Milano, Anabasi, 1994; il titolo in francese è L’art de moteur) dà un giudizio molto critico: siamo arrivati al “cittadino terminale”, equipaggiato di protesi tecnologiche di ogni genere, il cui modello patologico è l”‘handicappato motorizzato”, provvisto di tutti gli strumenti per poter controllare il proprio ambiente senza spostarsi fisicamente. C’è bisogno di una “media etica”, sul modello della bioetica, sembra suggerire Paul Virilio evocando i nuovi mercati, i signori del tempo. Come suggerisce anche un libro per ragazzi di Michael Ende, Momo. Un giorno ha 86.400 secondi e dunque in 70 anni si ha a disposizione un capitale con oltre 2 miliardi di secondi; gli uomini in grigio rastrellano ore e giorni, per conto della “Cassa di risparmio del tempo”, promettendo di restituirli con gli interessi dopo il settantaduesimo anno: ma è una menzogna e sarà una bambina, Momo, a guidare la ribellione e a proporre contromisure. A Santarcangelo di Romagna è nata davvero una “Banca del tempo”, nell’aprile 1995, con obiettivi opposti a quelli dei signori grigi del romanzo di Ende. Questo infatti è un luogo di scambio di socialità e saperi, quasi un pronto soccorso del tempo ideato dalla Commissione Pari Opportunità del Comune.
Naturalmente c’è uno sportello bancario e ci sono assegni: rossi per il deposito di tempo, verdi per il ritiro. Le correntiste (la banca per adesso è aperta solo alle donne) al momento dell’iscrizione indicano che cosa sanno e possono fare, che tipo di offerta e di richiesta tempo possono mettere in conto (assistenza degli anziani, cura della casa, cucina, lezioni di ballo, spesa). Oppure avendo del tempo da spendere o da perdere, si può fare come indica Il piccolo principe: “Buon giorno” disse il piccolo principe.”Buon giorno” disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete… Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. “Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe. “È una grossa economia di tempo” disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiamo cinquantatrè minuti alla settimana”. “E che cosa si fa di questi cinquantatrë minuti?” chiese il piccolo principe. “Se ne fa quel che si vuole …”. “Io” disse il piccolo principe “se avessi cinquantatrè minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana”.
Una scuola a orologeria
Una cattiva maestra di tempo è invece la televisione. La tv è governata dall’orologio, è lui il re dei palinsesti. Qualsiasi elemento drammatico o incertezza va risolto e soddisfatto entro la fine del programma. C’è il telegiornale, ci sono gli spot, i programmi che vengono dopo. Quante volte si sente in televisione (ma anche nella nostra vita quotidiana) “non c’è più tempo”, “le do un minuto”, “le do 30 secondi”, “abbiamo sfondato i tempi”. Anche la scuola sotto questo aspetto funziona così: il suo “palinsesto” è governato dall’orologio. Se un bambino, un alunno si interessa a uno specifico argomento, se una discussione rivelatrice e coinvolgente appena prima della campanella non c’è scampo all’orologio, non c’è più tempo. Si cambia argomento, inizia un altro conteggio. Ma una gabbia di questo tipo non banalizza le conoscenze? Non dice, non comunica, in fondo, che non bisogna lasciarsi coinvolgere troppo da nulla? Troppo spesso e inutilmente messe l’una contro l’altra la tv (la lepre) e la scuola (la tartaruga) hanno anche rapporti di complicità e di somiglianza. “Né la televisione, né la scuola promuovono l’interesse verso la materia di studio al di là di quel che consente l’orologio”.
Quel bambino è lento. Sì, è bravo, ma è troppo lento.
A scuola si insegna generalmente a non perder tempo. C’è un’idea produttivistica del lavoro scolastico (appunto: il lavoro!) che cerca di eliminare i tempi morti, i momenti di noia, gli intervalli tra un’attività e l’altra. Quest’ idea del tempo, del ritmo scolastico si è ancor più accelerata dopo l’introduzione nella scuola elementare dei moduli con diversi insegnanti che si alternano, un po’ sul modello della scuola media. Si dice che i bambini leggono poco: c’è la televisione. Ma una delle caratteristiche della lettura libera è proprio quella di occupare i ritagli di tempo, i momenti dell’attesa, le pause tra un’attività e l’altra, i tempi morti. Spesso si legge aspettando: dal dentista, dal parrucchiere, facendo la fila, all’ufficio postale, aspettando l’autobus. Oppure si legge mentre si è impegnati in un’altra attività in cucina tra un piatto e l’altro, mentre si bada ai bambini, mentre si guarda la tv.
Bisognerebbe lasciare che la lettura, la possibilità di leggere potesse insinuarsi negli interstizi, nelle pause, nei tempi di passaggio tra un’attività e l’altra o anche dentro le attività stesse. Come avviene nella vita di tutti i lettori. Nel reticolo spesso ingarbugliato della giornata scolastica occorre lasciare delle briciole, delle “spiagge di lettura”. E occorre lasciare ai bambini la possibilità di perder tempo. “Il leggere ha bisogno di momenti lunghi, di tempi lunghi, che non passano mai, di lunghi momenti noia. Come potrebbe la scuola riuscire a produrre; questa noia, o se preferite che lo dica in tono più piano: a permettere di prendersela con calma con tutto comodo?”.
Il diavolo non ha tempo da perdere
Ma il male del mondo, chiedeva qualcuno, da chi è causato? Chi è responsabile dei problemi, dei disordini, dei caos? I pigri, i perditempo, i lenti? Non sono le virtù attive che mancano oggi ma quelle passive: mi sa tanto che il diavolo è ancora la creatura più indaffarata dell’universo e riesco a immaginarmelo benissimo mentre si arrabbia per la più piccola ro perdita di tempo. Scommetto che nel suo regno a nessuno è permesso di stare senza far niente, nemmeno per un solo pomeriggio. Se per esempio nel luglio del 1914, quando faceva un tempo splendido per oziare, tutti, imperatori, re, arciduchi, statisti, generali, giornalisti, fossero stati ai improvvisamente colti dall’intenso desiderio di non far niente, di ciondolare al sole e consumar tabacco, allora saremmo stati molto meglio di come stiamo adesso. Ma no, la dottrina della vita attiva continuava a dominare incontrastata; non c’era da perder tempo; qualcosa andava fatto.
E, come sappiamo, qualcosa venne fatto.
1. Cit. in: G. Ravasi. Matutino, Casale Monferrato, Piemme, 1993.
2. I. Calvino. Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 53.
3. Ivi, p. 37-38
4. U. Eco. Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994.
5. Ivi, p. 63.
6. Ivi, p. 82.
7. Come chiave di lettura della società dei consumi questa immagine è usata da: G.P. Ceserani. Effervescenza addio, Milano, Longanesi, 1994.
8. M. Perniola (curatore). L’aria si fa tesa. Per una filosofia del sentiero presente, Genova, Costa
& Nolan, 1994, p. 5.
9. P. Virilio. “Velocità, lentezza”, Verso il duemila. Le idee, suppl. al n. 11 de 1′ Espresso del 18
mar. 1990.
10. vedi: M. Ende. Momo, Torino, Sei, 1992.
11. A. de Saint-Exupéry. Il piccolo principe, Milano, Bompiani, 1994, p. 100.
12. K. Popper; J. Condry. Cattiva maestra televisione, Roma, Donzelli, 1994, p. 37.
13. Vedi: G. Perec. Pensare, classificare, Milano, Rizzoli, 1989. ›
14. P. Bichsel. Il lettore, il narrare, Milano, Marcos y Marcos, 1990, p. 52.
15. LB. Priestle. “Sul non far niente”, Il palinsesto del cervello umano, Ottavio Fatico (curatore). Genova, Il Melangolo, 1995, p. 206.