Intervista a Arianna Lazzari
Che importanza riveste in questo momento, la traduzione del Documento europeo “Quality Framework for ECEC”?
La scelta di tradurre e pubblicare in italiano un importante documento europeo che rivolge la sua attenzione all’infanzia, a partire dalle politiche educative che di infanzia si occupano, nasce dal preciso intento di offrire un contributo di respiro internazionale al dibattito nazionale sull’istituzione del sistema integrato 0-6. Il documento risulta innovativo non solo per il suo contenuto, di grande rilevanza sia sul piano scientifico che su quello politico, ma anche per via del metodo attraverso il quale tali contenuti sono stati pensati, strutturati, negoziati e prodotti all’interno di un processo condiviso. La proposta di principi chiave per la qualificazione dei servizi per l’infanzia presentata in questo volume è infatti il risultato di un percorso di consultazione biennale, che ha visto la partecipazione di decisori politici, ricercatori ed esperti del settore (stakeholders) provenienti da 25 Paesi dell’Unione ad un tavolo tecnico coordinato dalla Direzione Generale Educazione e Cultura della Commissione Europea. Avendo collaborato con la Direzione Generale Educazione e Cultura in qualità di consulente scientifico, ho avuto modo di seguire da vicino lo sviluppo della stesura del documento europeo: questa posizione mi ha dato l’opportunità di osservare il processo attraverso il quale il piano pedagogico e quello istituzionale si siano fruttuosamente intrecciati e vicendevolmente arricchiti durante l’intero percorso.
Ci sono motivi di attualità in Italia?
Se già la proposta di principi chiave per la qualificazione dei servizi per l’infanzia rappresenta di per sé un documento saliente per chi si occupa, a diverso titolo, di infanzia, esso è diventato oggi ancora più attuale grazie all’approvazione della legge delega 107/2015 che ha reso le proposte contenute nel testo ancora più cogenti. I principi per la qualificazione proposti dal documento infatti offrono interessanti piste di riflessione rispetto a come rilanciare l’offerta educativa dei servizi per l’infanzia all’interno del nuovo panorama delineato dalla norma e lo fa per almeno due ragioni differenti.
Innanzitutto, perché tali principi affondano le radici in una visione condivisa di infanzia e di educazione che – valorizzando il ricco patrimonio di tradizioni pedagogiche presenti all’interno dell’Unione Europea – crea un terreno fertile per il confronto e lo scambio a partire da assunti condivisi. È proprio a partire da questi principi – che si declinano nel contesto complessivo del documento in una dimensione quasi valoriale – che diventa possibile cominciare a pensare sul piano attuativo a percorsi di innovazione e di sperimentazione pedagogica nei servizi. Tra gli assunti condivisi che stanno alla base dei principi formulati dal documento assume dunque una rilevanza cruciale la centralità dei bambini e delle bambine, centralità che essi acquisiscono non soltanto in quanto soggetti finali del processo educativo per essi progettato e realizzato nelle istituzioni educative 0-6, quanto piuttosto nella loro qualità di soggetti ‘antecedenti’ il progetto educativo ad essi destinato. Viene a delinearsi così un’intenzionalità educativa che assume connotati sociali nel momento in cui associa i bambini ai loro diritti essenziali e inalienabili, a partire dal diritto stesso all’educazione, ma anche a quello al gioco, al riposo e alla partecipazione alla vita culturale del proprio paese. È proprio in virtù ed in ottemperanza a questi assunti giuridici che il piano della prassi deve intrecciare il livello politico a quello educativo, all’interno di un approccio pedagogico olistico che integra – anche nella didattica – cura ed educazione e che adotta questo binomio inscindibile quale fondamento della professionalità di tutti quegli operatori (insegnanti, educatori, personale ausiliario, …) che nelle istituzioni educative per l’infanzia lavorano. Ne derivano profili professionali che non possono che essere centrati sulla riflessività e sulla collegialità, nel quadro di una prospettiva ecologica, contestuale e sistemica; professionisti che utilizzano quali strumenti fondamentali per il proprio lavoro l’osservazione, l’ascolto, la relazione e la comunicazione così come la progettazione, il lavoro di gruppo, la condivisione, la documentazione e la valutazione. Infine, ma non ultimo per rilevanza, la centralità del bambino richiama ed obbliga un coinvolgimento attivo delle famiglie, volto a rilanciare la progettualità dei servizi e delle scuole dell’infanzia in una prospettiva che valorizza la diversità socio-culturale, ovvero l’iperdiversità attuale, che tanto caratterizza ogni contesto in Italia come negli altri paesi europei.
Quali i punti chiave?
Le sollecitazioni presenti sono molte e diversificate. Come promuovere la generalizzazione di servizi di qualità elevata e al tempo stesso renderla sostenibile in tempi di crisi economica? Come migliorare l’accessibilità dei servizi, in modo tale da garantire un’offerta educativa di qualità a quei bambini e a quelle famiglie che – trovandosi a vivere in condizioni di emarginazione sociale o in contesti caratterizzati da povertà e deprivazione – tendono oggi ad esserne maggiormente esclusi? Come riorientare l’azione educativa dei servizi mettendo al centro i bisogni dei bambini, partendo dal presupposto che i contesti dai quali essi provengono sono sempre più spesso connotati da pluralismo linguistico e culturale? Come favorire una reale partecipazione delle famiglie alla gestione dei servizi per l’infanzia tenendo conto del fatto che esse possono avere aspettative anche molto eterogenee rispetto alle pratiche educative e di cura dei bambini piccoli? E come sostenere la professionalità di educatori e insegnati che, nelle loro relazioni quotidiane con bambini e famiglie, sono chiamati a confrontarsi con questa complessità crescente? Infine, come dare nuovo impulso ad una progettualità pedagogica inclusiva che allarghi lo sguardo oltre la realtà del singolo servizio, attribuendo un ruolo attivo a bambini e famiglie nel processo di rinnovamento sociale e culturale delle comunità in cui vivono?
Queste sono domande che accomunano tutti coloro che, a vario titolo, sono responsabili per la gestione e il coordinamento dei servizi per l’infanzia sui territori.
Nel panorama italiano, il quadro di riferimento europeo per la qualificazione dei servizi per l’infanzia presentato in questo volume potrebbe dunque essere utilizzato come punto di avvio per un confronto e un dialogo partecipato che coinvolga decisori politici, amministratori locali e gestori dei servizi, così come il mondo della ricerca accademica, su un duplice livello: quello dell’elaborazione dei decreti attuativi della legge delega 107/2015 sul piano nazionale e quello della sperimentazione pedagogica di nuove tipologie di servizi a livello regionale e locale.
Come è strutturato il documento?
Il documento si propone ad una duplice lettura: l’una di indirizzo politico e culturale e l’altra di matrice operativa. I differenti livelli di analisi traspaiono dalla struttura stessa del documento. Nella prima parte, infatti, dopo aver presentato le ragioni che hanno originato questo lavoro e la metodologia attuativa, viene brevemente illustrata l’interpretazione di ‘qualità’ che il gruppo ha elaborato con riferimento specifico al contesto dei servizi educativi e di cura per l’infanzia. Nella seconda parte, poi, vengono presentati e descritti in forma sintetica i principi di qualità di cui il documento si fa promotore. È la terza parte che maggiormente connette il livello teorico a quello operativo: ciascuno dei principi di qualità dichiarati è illustrato in modo esteso facendo riferimento sia alle evidenze di ricerca inerenti il tema specifico, sia ai risultati principali della discussione avvenuta all’interno del gruppo di lavoro ma – soprattutto – vengono portati ‘ad esempio’ specifici ‘studi di caso’ individuati a partire dalle buone pratiche concretamente realizzate all’interno di ciascun contesto nazionale. Ciascun principio trova quindi una sua applicazione che può essere di ispirazione per ulteriori variazioni rispetto alla soluzione attuata presentata, variazione ovviamente necessaria data la natura sistemica e contestuale che fa da cornice concettuale e metodologica all’intero documento.
Quale può esserne l’uso?
A questo riguardo, ritengo che il documento europeo possa essere proficuamente utilizzato come strumento di formazione, ricerca e innovazione sociale. Sul piano pedagogico, infatti, il successo o l’insuccesso della riforma sull’istituzione del sistema integrato 0-6 dipenderà dalla misura in cui si riusciranno a coinvolgere educatori, insegnanti, coordinatori e dirigenti scolastici in processi di sperimentazione e ricerca-formazione capaci di generare una riflessione partecipata sulle opportunità educative offerte da una progettualità condivisa dei servizi. Diverse ricerche, infatti, hanno sottolineato l’inefficacia – specie in questo settore – di riforme normative che sono percepite da educatori e insegnanti come calate dall’alto e imposte, piuttosto che essere il risultato di un percorso partecipato o, perlomeno, condiviso.
Quali indicazioni per un curricolo 0-6?
Il quadro sinteticamente delineato permette di cogliere la complessità del contesto politico, sociale, economico ma soprattutto culturale ed educativo entro il quale la legge 107/2015 si inserisce e con il quale si trova a dialogare e a connettersi. In tal senso, si può affermare che l’elaborazione di un curricolo integrato in prospettiva 0-6 nel contesto italiano costituisca – in questo preciso momento storico – sia una sfida che un’opportunità. Una sfida poiché richiede a tutti i soggetti coinvolti di ripensare l’identità del nido e della scuola dell’infanzia in un’ottica che – pur rispettando la loro autonomia e specificità – affondi le proprie radici entro valori e significati condivisi che diano unitarietà e coerenza al percorso educativo da 0 a 6 anni. Un’opportunità perché la condivisione di valori e significati che riorientino la progettualità del nido e della scuola dell’infanzia in un’ottica di continuità consentirebbe di ‘rilanciare’ quegli assunti pedagogici su cui tali istituzioni hanno costruito la loro storia, rileggendone i principi ispiratori alla luce delle nuove istanze espresse da bambini e famiglie nell’attuale contesto sociale e alla luce un dialogo costante con le ricerche e le esperienze più avanzate realizzate in altri Paesi.
Quali avvertenze in un momento delicato come quello che stanno attraversando i servizi educativi 0-6?
Il rischio più grosso che si corre, e che in parte è già rilevabile nell’organizzazione del sistema educativo attuale, è quello che vede lo schiacciamento della progettualità dei servizi rivolti all’infanzia in un’ottica meramente funzionale alla scuola primaria, depositaria di ‘saperi disciplinari’ gerarchizzati e separati. Al contrario, un curricolo rispettoso delle specificità dei bambini e delle bambine al di sotto dei 6 anni – che aspiri a rilanciare i servizi per l’infanzia all’interno di un progetto 0-6 coerente con gli intenti dichiarati – deve necessariamente rimettere in gioco le conoscenze pedagogiche e le prassi educative che hanno contribuito a creare la cultura del nido e della scuola dell’infanzia negli ultimi quarant’anni, per arrivare ad affermare una nuova visione di ‘cura’ e di ‘educazione’ che metta al centro i bambini e le loro famiglie, in una prospettiva inclusiva e multiculturale. Da un lato, tale visione richiede che il concetto stesso di ‘cura’ venga declinato in chiave relazionale e inter-soggettiva, richiamando un atteggiamento ricettivo, di ascolto e responsivo da parte di educatori e insegnanti rispetto alle esigenze che ciascun bambino manifesta nel corso del proprio sviluppo. Ma richiama anche – al contempo – un atteggiamento accogliente nei confronti della diversità culturale di cui bambini e famiglie sono portatori, così come la disponibilità a rivedere costantemente il proprio agito educativo alla luce di un confronto aperto e di un dialogo costante con le famiglie. Questa prospettiva, infine, comporta il superamento di una concezione meramente ‘istruttiva’ delle pratiche educative a partire dalla consapevolezza che l’apprendimento – per i bambini di questa fascia di età – si realizza attraverso un’interazione attiva e ludica con la realtà, in grado di generare significati e conoscenze nuove. In questa prospettiva, il ruolo educativo dell’adulto si sostanzia sia nella predisposizione di situazioni ludiche che promuovano il confronto socio-cognitivo e valorizzino l’eterogeneità dei linguaggi espressivi e comunicativi2, sia nella realizzazione di una comunicazione empatica e autentica a fondamento di una relazione che, pur nella sua asimmetria, si mostra rispettosa e attenta alle specificità di ciascun attore in gioco.
In ultima istanza, l’elaborazione di un curricolo che sappia rilanciare i servizi per l’infanzia all’interno di una prospettiva coerente, unitaria e integrata richiede che tutte le soggettività coinvolte abbiano il coraggio e il desiderio di impegnarsi in scelte anche rischiose, che aprano la strada ad una nuova visione di futuro. Mi auguro che il documento europeo presentato in questo volume possa offrirsi quale utile contributo per co-costituire collettivamente l’inizio di questo percorso.