
Paola Toni
I genitori riuniti nei gruppi WhatsApp creano qualche problema alle educatrici. Spesso mi raccontano, disorientate, che non riconoscono più le famiglie, quelle famiglie che amavano condividere un percorso di crescita per i loro bambini, confrontandosi su mille situazioni. Nelle comunicazioni che i genitori si scambiano tra loro sembra che non diano importanza ai valori del servizio e all’utilità della progettazione pedagogica che viene attivata, ma piuttosto alle piccole cose, sembrano più preoccupati del dito e qualche volta non riescono a vedere la luna.
Voglio tentare di consolare le educatrici che si trovano in questa situazione, riportando quanto Internazionale ha pubblicato un po’ di mesi fa nella rubrica Dear Daddy di Claudio Rossi Marcelli.
Ecco mamma Viola che scrive: “Ancora alla scuola materna e già siamo a quota due chat e una mailing list di classe. Non ce la posso fare”.
La risposta di Claudio Rossi Marcelli: “Ho chiesto ai miei contatti su FB quali fossero secondo loro i pregi e i difetti dei gruppi WhatsApp per genitori. Le oltre 160 risposte suggeriscono che non sei l’unica ad avvertire questo senso di oppressione”.
Dice un papà, Felice: “Il problema è quella che autonomina Admin e tempesta tutti di messaggi per riferire ogni respiro. A tutti” .
Altre risposte…
“Per me che sono sorda hanno il pregio di essere accessibili” – Barbara
“Dal ricevimento dei professori ai consigli per lo shopping il passo è breve” – Anna
“Sarebbero utilissimi per le comunicazioni ufficiali. Invece diventano il ricettacolo di genitori frustrati che inondano il gruppo di cuoricini, gattini e foto delle vacanze. Dopo l’ennesima immagine del gattino con l’augurio di una dolce giornata sono uscita da tutti i gruppi. E alcune mamme mi hanno aspettato preoccupate all’uscita della scuola” – Laura
“Utili quando i genitori si passano informazioni. Pestilenziali quando cominciano a scambiarsi opinioni o, peggio, discutono” – Egizia
“E’ da due giorni che sulla chat delle mamme dell’asilo si discute del fatto che la nuova maestra non saluta abbastanza. Sciogliete i cani!“ – Margherita
“Patologizzano” – Lorenzo
E le esperienze raccolte dalle educatrici non si discostano molto, I temi sono: “la supplente è brutta” – “danno poco pane per merenda” – “le educatrici non sono più come una volta etc etc.” – ”ma la coordinatrice chi è? chi l’ha vista?”.
Quale strategia?
Prendere atto della realtà, senza demonizzare né enfatizzare. I social sono strumenti e come tutti gli strumenti hanno punto di forza e di debolezza, offrono vantaggi e svantaggi.
La gestione di queste nuove situazioni relazionali non può essere affrontata in modo individuale da una educatrice ma da tutto il collettivo e la coordinatrice/tore pedagogica/o ha un ruolo fondamentale.
Prima di ragionare sul che fare bisogna analizzare e riflettere su alcuni temi che le teorie di marketing dei servizi indicano come fondamentali per il buon funzionamento e che sono così sintetizzabili:
1° – quale percezione hanno i genitori entrando? Ordine o disordine? Clima positivo o nervoso? O meglio, c’è un pensiero che sottende alla messa a punto, ad esempio, di quel cartellone o della bacheca con le informazioni alle famiglie?
2° – Il comportamento del personale suscita fiducia?
3° -In che modo le famiglie contribuiscono alla co-produzione del servizio?
Quindi una breve analisi di quello che si fa e di come si fa. Sulle famiglie poi suggerirei, quando è possibile, di fare un vero e proprio “bilancio delle competenze” cioè tutte quelle abilità, capacità insite nelle loro professioni che possono essere espresse se stimolate da un’attività piuttosto che un’altra. Con un piccolo questionario potete rilevarle e diventa uno strumento non solo di raccolta di informazioni, ma attiva un percorso di valorizzazione di chi lo compila, mamma, papà, nonni, etc. Oggi tutti sentiamo la mancanza di gratificazioni: indicare il proprio bagaglio culturale tradotto in competenza e condividerlo con altri, può far aumentare in senso positivo la propria considerazione. Anche il tempo che possono mettere a disposizione diventa elemento di valorizzazione e di scambio.
L’altra riflessione veloce è sul punto di vista: quanto viene innalzato con le parole e con le azioni. Dopo aver dato le risposte più giuste per soddisfare i bisogni primari delle famiglie riguardo al loro bambini, cosa viene fatto per far capire che tutti i servizi in cui lavorate sono all’interno di processi culturali che si evolvono a livello nazionale e internazionale, con scambi e aggiornamenti continui? Insomma far vedere la luna, non il dito!
L’ultima considerazione: non stancatevi mai di ripetere i valori pedagogici del servizio, ma dovete stupirli!!! E quindi dovete rivedere il linguaggio e le modalità di incontro. Se non lo avete già fatto, dovrete individuare parole che guidano il vostro modo di comunicare con loro e costruire un vostro percorso. Ma fatelo divertendovi. Stupore? Curiosità? A seconda di quello che volete suscitare attiverete modalità diverse.
Proviamo a costruire un percorso…
Torniamo al tema: i genitori si sono uniti in un gruppo WhatsApp e imperversano con considerazioni non proprio carine.
Il gruppo di lavoro deve essere percepito coeso e con un forte senso di appartenenza, unito da obiettivi comuni (come nella maggior parte dei casi è) e la coordinatrice, o la referente del nido, o della scuola infanzia o della sezione (a seconda della grandezza del fenomeno) organizza un incontro.
Qui sorge il primo problema: portare allo scoperto e dire che si sa che in questo gruppo il servizio e il personale non è molto considerato nei loro messaggi su WhatsApp? O fingere di non sapere e partendo da un piccolo fatto, anche usato come pretesto, si tenta di far parlare tutti i genitori e quindi di portare a galla i malumori?
La scelta è del gruppo di lavoro e della coordinatrice che insieme dovranno ragionare sulla tipologia di genitori per capire se è meglio dire che avete “saputo” o chiedere aiuto su un evento o proporre di programmare un ciclo di incontri sul tema ad esempio della relazione tra adulti.
Una possibile strategia richiede queste fasi:
- Capire meglio i propri interlocutori senza giudizi e pregiudizi..(leggere la realtà per quella che è…in sospensione del giudizio…non sottovalutare nulla e dare ascolto a tutto… ).
- Imparare a rendere leggère le situazioni pesanti (lavorare sul proprio approccio mentale attraverso le tecniche Analisi Transazionale che aiutano ad introdurre un po’ di ironia nel l’individuazione dei giochi che ciascuno di noi mette in campo o riconoscere la parte bambina/o che anche da adulti combina guai quando è poco creativa e tanto capricciosa. Oppure fatevi aiutare dalla Pragmatica della Comunicazione che analizza i fatti per quel che valgono in quel momento o individua nelle parole che pronunciamo o che pensiamo la “profezia che si avvera”.
Una interessante tecniche è quella del “come se….”: significa incontrarli e viverli come fossero i genitori più bravi del mondo …..Difficile vero? Soprattutto quando ci si sente offesi/e.
Ricordate anche la tecnica della scacchiera: posizionate bene le pedine e concentratevi sulla mossa da fare. Secondo Paul Watzlawich, psicologo e filosofo, ragionare troppo sul perché le cose succedono non aiuta ad affrontare l’oggi.
O ancora con la PNL, Programmazione Neuro Linguistica che suggerisce di fare molta all’attenzione ai suoni, ai colori, alla percezione di primo impatto e quindi curare molto bene il luogo dell’incontro in cui far poi dialogare i genitori). - Rifondare il “patto” in una logica di trasparenzaQuesta fase richiede una grande capacità di ascolto, per cogliere anche le più piccole sfumature e capire i reali bisogni delle famiglie: bisogna comprendere le loro necessità e portarli a ragionare sulle parole fiducia e tranquillità, come e quando scaturiscono, cosa le provocano e attraverso quali comportamenti ed azioni svaniscono.
- Bisogna quindi ridefinire il linguaggio (attenzione ai No e NON, ad un linguaggio troppo direttivo – dovete etc – ad uno troppo permissivo e timido….. si potrebbe/si dovrebbe), ma ancor meglio utilizzare varie tipologie di linguaggio per entrare in sintonia con quello utilizzato dalle famiglie.
- Poi bisogna saper condurre bene una riunione, facendo percepire il pensiero e la progettualità che avete utilizzato per preparare quell’incontro, dal numero di sedie giuste per tutti e già disposte in circolo, all’ordine del giorno e ai ruoli che ciascun partecipante del gruppo di lavoro metterà in atto. È necessaria una regia su una sceneggiatura che avete costruito con le partiture assegnate a ciascuna educatrice e/o insegnante.
Non lasciatevi sovrastare dal sentimento dell’offesa. Le persone, sopratutto se utilizzano i servizi in cui voi lavorate, hanno il diritto di esprimere i propri pensieri. Dovrebbero essere anche educati e comprensivi, ma a questo dovete andare incontro voi e riuscirete a trasformarli con la vostra risolutezza, la vostra preparazione e capacità di portarli a riflettere su temi utili. Sentirsi offesi/e entra nella sfera dell’autostima e del valore che ciascuno di noi si riconosce: se bastano una o più frasi a scalfire il nostro equilibrio significa che abbiamo bassa considerazione e quindi è necessario un lavoro su noi stessi per recuperare benessere.
Ultima riflessione: ricordate sempre la distinzione che fa Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco quando parla di Comunità (le persone si incontrano, si parlano, si conoscono) e Community (mondo virtuale, ammaliatore, facile, veloce), ma guardarsi negli occhi è sempre meglio ed é solo confrontandosi che si risolvono i problemi: questo è importante far capire alle famiglie. Anche con un bel cartellone all’ingresso.
Ma Bauman sottolinea che “Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l’ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante”.
E anche: “La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso”. (Tratto da Zygmunt Bauman , L’arte della vita, Bari, 2009)“
La sfida va accettata con gioia ed energia, ma per ora buona estate a tutti/e!
Documentazione:
Riflessioni intorno ai siti di asili e scuole d’infanzia
Gioie e dolori della comunicazione digitale
I social network per la promozione della cultura d’infanzia
Coordinare è innovare