Nell’odierna situazione i diritti alla salute e all’istruzione al momento sembrano essere contrapposti; ne parliamo con Aldo Garbarini, presidente del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, per farci un’idea sulle ricadute sul sistema educativo 0 -6 e, conseguentemente, sui bambini e le loro famiglie.
Intervista a Aldo Garbarini a cura di Ferruccio Cremaschi
Il CoronaVirus sta portando con sé una situazione di grande difficoltà sociale e relazionale, oltre ai rischi e alle situazioni di crisi sul piano sanitario ed economico nazionale, ancora difficili da stimare e comprendere nella loro dimensione complessiva. L’epidemia in corso ha bloccato le attività (la vita stessa) degli italiani e non solo. Come valuta la ricaduta sulle famiglie e sull’infanzia?
Certamente la sospensione delle attività educative e dell’istruzione determinano una situazione grave e difficile, in primo luogo senz’altro per le famiglie che devono provvedere quotidianamente ad una gestione dei propri figli che non può essere di sola e mera badanza, ma anche e soprattutto per bambini e bambine, per i giovani che, privati della possibilità di frequentare i servizi educativi per l’infanzia operanti sul territorio o la scuola, non hanno in questo periodo accesso a percorsi di autonomia e di crescita nelle competenze e negli apprendimenti e ancora, laddove sussistono situazioni di povertà economica e/o educativa, di esclusione dalle più semplici opportunità di inclusione sociale.
Si tratta di scelte pesanti, ma inevitabili di fronte a diritti contrapposti che hanno dato priorità al diritto della tutela della salute collettiva.
I diritti alla socialità e all’educazione non possono essere considerati secondari ad altri, ed impongono un’attenzione sia al contesto di questi giorni, al fine di mantenere aperta ed attiva una rete educativa che non può venire meno, sia anche a ciò che potrà essere al momento della ripresa della normalità: il rischio è che il virus produca conseguenze ancor più negative di quelle oggi purtroppo in essere. Purtroppo l’attuale situazione conferma non solo le disparità economiche ed educative dei nuclei familiari, ma anche le differenze ancora esistenti a livello territoriale, sia nei servizi (alcuni servizi 0 6 hanno avviato progetti di interazione a distanza con famiglie, bambini e bambine, in altre territori i servizi sono assenti) sia nei rapporti tra enti locali e soggetti gestori, sia infine nella mancata applicazione della norma nazionale
Notiamo un diffuso e coraggioso impegno da parte delle educatrici e dei servizi a dare risposte all’emergenza.
Sotto questo aspetto, non possiamo che rimarcare ed elogiare l’impegno di tutte quelle educatrici ed educatori, di maestri e maestre, insegnanti e docenti universitari che si stanno prodigando per garantire il massimo di continuità didattica e di interazione educativa, facilitando, nella fascia 0 6 anni che da sempre è all’attenzione del nostro Gruppo Nazionale, il miglior sostegno ai bambini, alle bambine e alle loro famiglie. Non possiamo infatti dimenticare che i servizi per la prima infanzia, così come la scuola, sono sistemi di convivenza civile, di democrazia e di produzione di cultura, dove gli operatori sono un riferimento fondamentale per i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Questo “stare in prossimità” dei bambini e dei ragazzi, ha voluto dire curare in primo luogo le relazioni, ma anche, e questa mi pare una novità da ben considerare nell’immediato futuro, aver posto maggior attenzione alle famiglie quali mediatori di opportunità formative e di situazioni ludiche.
Cosa possiamo riproporci per il momento della ripresa?
Mi sembra che oggi, richiamando il titolo di un vecchio film, sia necessario rivendicare un obiettivo fondamentale: “non uno di meno”. La ripresa deve garantire che tutte le bambine e i bambini che frequentavano i servizi 0 6 possano ritornare nei nidi, nelle scuole, nei servizi integrativi. Per questo bisogna garantire ai servizi pubblici e privati in convenzione, concessione o in appalto le risorse necessarie perché nessuno debba chiudere. Bisognerebbe inoltre fare riferimento almeno ai servizi accreditati e/o autorizzati e vigilati, che, anche se non in diretto rapporto con l’ente pubblico, rappresentano una percentuale significativa in alcune zone del nostro Paese. Ciò non toglie che alla ripresa uno dei primi snodi dovrà essere la capacità di sistematizzare un servizio complessivo in cui elementi di qualità, se non veri e propri livelli essenziali delle prestazioni, siano il discrimine fondamentale nella declaratoria dei requisiti per potere operare.
Quali sono i riferimenti inderogabili per garantire e sostenere una risposta di qualità alle esigenze educative e di crescita dell’infanzia?
Ad oggi, non possiamo che ribadire la centralità del D.Lgs. 65/2017, in primis per la “conquista” anche culturale dei servizi 0 6 come specifici del sistema dell’istruzione e non più dell’assistenza. Il Decreto peraltro determina con precisione tipologia e caratteristiche dei servizi 0 6, e dunque sbarra la strada alla diffusione di servizi (tipo baby sitter a chiamata) che utilizzino denominazioni diverse per sfuggire alle regolamentazioni regionali e locali. Il sistema vede inoltre la possibilità che sui territori sia realizzabile una effettiva dimensione integrata attraverso l’interazione e il coordinamento di soggetti pubblici, quali lo Stato e gli Enti Locali, e privati. Come Gruppo Nazionale riteniamo pertanto necessario che queste dimensioni rimangano pienamente all’attenzione del decisore pubblico, affinché già nell’oggi, ma soprattutto ai tempi della ripresa, il sistema educativo ne esca confermato, se non addirittura rafforzato, nelle sue potenzialità.
La chiusura dei servizi per un periodo prolungato, la necessità di provvedimenti più stringenti in materia di spazi, di condizioni sanitarie, ecc. penalizzano (o rischiamo di penalizzare) molti servizi “privati” che già lanciano grida di allarme.
Come ho già richiamato prima, bisogna riconoscere l’esistenza di un soggetto terzo, non pubblico, che concorre alla formazione del sistema integrato. Sarebbe esiziale se, per quanto sta accadendo, questo spazio venisse restringendosi per meri fatti contingenti. Non dimenticherei, in questo quadro, che la tutela dei lavoratori si accompagna alla tutela dei servizi, perché senza di questi si potrebbero determinare serie difficoltà per le famiglie che i servizi li usano, specie se i genitori sono impegnati nel lavoro, e per gli stessi lavoratori che resterebbero disoccupati.
Ma quali sono le condizioni perché il sostegno ai servizi (ai lavoratori dipendenti, alle famiglie e alle bambine e bambini utenti) non si riduca a un generico intervento economica che di fatto equipari questa “attività commerciale” a qualsiasi altra iniziativa imprenditoriale in difficoltà? Come si enuclea la particolarità del servizio rivolta non solo alla persona, ma specificamente a una categoria di persone “deboli”?
È certo che l’aspetto “commerciale” non può essere in questo caso disgiunto da caratteristiche di qualità e di attenzione ai bisogni dei bambini. Che sono deboli non perché non competenti, ma solo se “ordinati” sotto altri interessi. Il tema dunque è e sarà non solo “non meno di uno” ma anche “i bambini non devono rimetterci”, perché sarebbe alquanto ingiusto nei loro confronti, ma soprattutto miope per il nostro futuro sviluppo, non guardare con gli occhi dell’infanzia il dopo che ci aspetta. Dobbiamo dunque aprire una rilettura dei processi sociali, economici ed anche educativi che ponga come elemento di priorità questa dimensione. Vorrei però almeno richiamare, nell’immediato, un aspetto a mio avviso altrettanto critico di quanto finora detto: la tenuta dell’Ente locale.
Dopo la stagione dei tagli selvaggi alle risorse, si aggiunge adesso la necessità di far fronte all’emergenza. Come ne usciremo?
Gli enti locali stanno rispondendo per quanto di loro competenza alla crisi attuale; ma hanno bisogno di un intervento straordinario dello Stato per evitare che, in una situazione di complessiva difficoltà economica, soccombano essi stessi alla rideterminazione al ribasso (alias chiusura parziale o totale) dei servizi educativi gestiti in forma diretta o affidati o convenzionati. L’ente pubblico non può scomparire.
L’urgenza che sentiamo porre è ristabilire la normalità, ritornare il più rapidamente possibile a prima della crisi. Aspettativa comprensibile, ma che ignorerebbe tutto quanto l’emergenza ha fatto emergere: le grandi disparità di opportunità educative sul territorio nazionale, le fasce di povertà educativa diffuse e che le risposte emergenziali (come la DAD) hanno ulteriormente esasperato.
Questa fase in cui anche la denatalità potrebbe aiutarci rendendo disponibili risorse, non sarebbe il momento propizio per affrontare una riflessione di radicale revisione del sistema educativo? Sappiamo che la normativa ha bisogno di tempi, subisce compromessi, spesso resta lettera morta, ma forse non potrebbe essere l’occasione per chiedere un ampio impegno di sostegno a sperimentazioni innovative sia di struttura che di modelli pedagogici? In fin dei conti il meglio che abbiamo avuto in Italia è prima maturato nell’esperienza dei servizi e delle scuole e la legge è arrivata successivamente a riconoscere quanto conquistato sul campo.
Dobbiamo rimpiangere l’epoca della Falcucci?
Sono d’accordo, qui parlo più a livello personale, anche se credo che nel Gruppo nazionale questi temi stiano diventando di urgente attualità. Senz’altro, l’emergenza ha evidenziato un dato che c’era già: la divisione profonda in termini di mezzi e strumenti che ancora “divide” le famiglie italiane, non solo tra nord e sud, ma all’interno delle stesse città. Bisogna colmare questa disparità, non solo dotando di mezzi chi non ce l’ha, ma cercando di innestare processi virtuosi che accompagnino all’uso di questi mezzi (e colmare un altro problema, ovvero che non tutti hanno dimostrato dimestichezza con l’uso della rete). Potrebbe già questo essere un nuovo approccio metodologico del sistema educativo? Avanza inoltre l’ipotesi che non potremo più avere, almeno nel prossimo futuro, situazioni di affollamento delle strutture; potremmo dunque utilizzare le aule che iniziano a rimanere vuote per rivedere l’intero patrimonio scolastico in funzione di una attività più ampia in termini orari e anche più orientata al territorio di appartenenza? Infine, mi paiono, tra i tanti, oggi doversi rivedere alcuni elementi educativi e dell’istruzione; in primis, il concetto della disciplinarietà dell’insegnamento (e ben venga, dico io), con l’esigenza di rivedere un concetto di lezione che tenga conto che l’apprendimento in rete (da cui non si potrà facilmente tornare indietro) non è certo quello che avviene con la lezione frontale. E, per il sistema 0 6, quello della relazione. Oggi sento parlare di pedagogia dell’essenziale, pedagogia del limite, pedagogia della speranza, tanto per citare alcune suggestioni. In tutti i casi, una necessità di rileggere le riflessioni degli ultimi anni per ridare corpo ad un pensiero pedagogico capace di confrontarsi con un “nuovo” che, volente o nolente, la crisi ci ha imposto. Credo che il Gruppo Nazionale, coerente alla sua vocazione, potrà essere anche in questo campo un importante riferimento.