
Raffaele Mantegazza
Erano anni stretti e il mondo immenso
Erri de Luca
Ripensando alla nostra infanzia, se abbiamo avuto la fortuna di viverla lontana da shock o violenze, spesso ci capita di vederla come una lunghissima giornata piena di cose da fare, esperienze da provare, sensazioni che si accumulano; le giornate d’infanzia sembrano sconfinate, e dire che quando eravamo piccoli era esattamente l’opposto: in un attimo veniva sera e l’odiata ora di andare a dormire. Chissà che memoria d’infanzia avranno i bambini e le bambine di oggi, con temporalità compresse tra esigenze e bisogni adulti e con le agende traboccanti più di quelle dei manager delle corporations. Il tempo è forse la risorsa della quale stiamo maggiormente derubando i nostri bambini, e lo stiamo facendo al contrario di quanto fanno di solito i ladri; questi sottraggono e tolgono, noi aggiungiamo e riempiamo, ma il risultato è lo stesso. Il tempo non c’è più.
Ma il tempo dell’educazione ha bisogno di tempo: non è un paradosso o una ripetizione inutile, è l’essenza dell’educazione che già Rousseau definiva un enorme spreco di tempo. E come il tempo del sacro richiede separazione dalla temporalità quotidiana, è tempo dello stare-fuori, dell’estasi (ek-stasis), così i tempi educativi condividono questa caratteristica. I bambini e le bambine che giocano si immergono in un tempo altro che va tutelato rispetto alle temporalità quotidiane: il gioco costruisce una propria temporalità, nella quale non vale per esempio la legge dell’irreversibilità temporale, nella quale un minuto vale un secolo e viceversa.
Rispettare il tempo dell’infanzia vorrebbe dire anzitutto progettare e costruire una società nella quale l’istituzionalizzazione dei bambini e delle bambine fosse ridotta al minimo; un bambino che entra in un servizio educativo alle 7 del mattino e ne esce alle 6 di sera passa in un’istituzione più tempo di quanto suo padre passi in ufficio; a perdere peso è il tempo libero, il tempo del far-niente, il tempo senza adulti a organizzare, strutturare, valutare attività e anche il tempo senza attività. E’ del tutto ovvio che questo significherebbe anzitutto ridefinire il tempio degli adulti, soprattutto il tempo del lavoro che è sempre più onnivoro e lascia sempre meno spazio ai ruoli educativi e genitoriali; ma è proprio questo il punto: finché il tempo dell’educazione si presterà a sanare i danni prodotti da una temporalità sociale invivibile, nulla cambierà mai. La pedagogia è una scienza politica e come tale deve intervenire nel dibattito sui tempi di vita e sui tempi sociali al di fuori dei servizi educativi.
Ma lavorare con i bambini all’interno di un servizio educativo ha comunque alcune caratteristiche che il tempo del sacro aiuta a inquadrare meglio. Anzitutto parliamo degli inizi: il rito sacro non inizia mai senza un elemento di distinzione rispetto al tempo profano, senza cioè un istante che separa le temporalità. Iniziare le attività alla mattina con la distribuzione della frutta, un appello giocoso o l’ascolto della musica è fondamentale ma forse occorre presidiare meglio lo stacco dal tempo della quotidianità e a nostro parere l’elemento che permette questo distanziamento è il silenzio. In una società pervasa dall’inquinamento acustico iniziare la mattina con un silenzio profondo e prolungato è essenziale: questo ovviamente significa anzitutto convincere i genitori che la presenza di tutti i bambini e le bambine per l’inizio delle attività è fondamentale, cosa assolutamente difficile.
Il tempo del sacro poi non è omogeneo; prevede momenti di distacco interni, momento di vera e propria Pausa (la secolarizzazione di tutto ciò è l’intervallo tra il primo e il secondo tempo nelle attività sportive: un tempo che è ancora dentro il cerchio magico del gioco ma non è più tempo di gara, e dunque deve essere presidiato con molta attenzione come sanno gli allenatori). Dunque occorre non proporre attività troppo serrate e soprattutto prevedere tempi di pausa (di vera pausa, nella quale ci si rilassa e basta) tra una attività e l’altra; altrettanto importanti sono ovviamente i tempi delle riprese dopo la pausa; anche qui occorre prendersi il tempo per ricaricare le energie, per ricostituire il gruppo, per far dimenticare le emozioni della attività precedente (ammorbidite dalla pausa) e mobilitare quelle legate alla nuova proposta. Non ci stancheremo mai di ripetere che il tempo dell’educazione non è un pozzo senza fondo: preghiamo per cui di proporre poche attività, ci verrebbe da dire anche “pochissime”, come contrasto a una società che propone con il digitale terrestre mille canali che trasmettono tutti le stesse cose e con il web milioni di siti tutti allineati nell’orizzontalità dell’indifferenza.
Il tempo del sacro va presidiato; non deve mai essere invaso dal tempo della quotidianità, a meno che ovviamente il secondo si sottometta al primo. Che cosa significa, in concreto? Che a mezzogiorno si pranza; questo è un tempo quotidiano e sociale che l’Occidente ha previsto. Ma in una situazione educativa questo tempo è tempo educante; il che significa che i riti, le scansioni, le azioni stesse devono essere differenti rispetto alla temporalità quotidiana. Se a casa tra il primo e il secondo ti alzi per accendere la TV, se quando la sorella è ancora al primo tu sei già alla frutta, se la mamma o il papà sparecchiano e per te tutto è già finito e sei già a giocare, a scuola le cose vanno diversamente. Attenzione: non stiamo giudicando il modo di pranzare in famiglia (quanto radicata è l’abitudine e l’attitudine al giudizio in tanti educatori e insegnanti) ma di proporre una nuova modalità, più adatta non tanto al rito del pasto, ma al rito educativo ed educante del pranzare insieme.
Come le aperture, anche le chiusure hanno ovviamente la loro importanza; e dal momento che siamo molto piò a nostro agio con le nascite piuttosto che con le morti, è molto più difficile per noi chiudere una attività o una giornata piuttosto che aprirla. Sono certo importanti le feste di fine anno o di fine ciclo ma pensiamo a chiusure della giornata, spazi quotidiani di morte (sì, abbiamo il coraggio di usare proprio questa parola, anche perché non potremmo altrimenti utilizzare quella che segue) e di rinascita (appunto), momenti nel quale ci si ricollega a quello che è accaduto durante la giornata (non nel senso di fare un riassunto o una specie di briefing!) per portare a casa un’emozione da tenere con sé anche per il giorno dopo. Perché un’altra caratteristica del tempo dell’educazione che lo rende simile al tempo del sacro è la sua esportabilità: la benedizione alla fine della Messa rimane nel tempo del rito ma permane con gli astanti anche e soprattutto fuori della chiesa (“la pace del Signore sia sempre con voi”); questo vale anche per il tempo educante ed educativo, che i bambini portano a casa, almeno per un frammento e che potrà colorare di sé anche i momenti della loro quotidianità; fino a ritrovarsi, trasformato e modificato, più avanti negli anni, nella strana porosità del tempo della memoria.