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I bambini del sì e quelli del no – marzo 1986

Loris Malaguzzi

Pedagogista


Pubblicato in “bambini” Marzo 1986, Edizioni Scolastiche Walk Over, Bergamo – pp.3-5

Non so immaginare quanto sarebbe accaduto nel Paese, nelle coscienze e soprattutto nella scuola se l’operazione Poletti-Falcucci (dall’Intesa alle norme applicative, conseguenti al rinnovo del Concordato e all’insegnamento della religione cattolica) condotta con tanta scorrettezza, precipitosità e imprevidenza non fosse stata finalmente interrotta: prima della forza della disputa pubblica e poi dalle resipiscenze tardive e colpevoli del governo. Il voto di fiducia richiesto dal governo al Parlamento per salvare il Ministro della P.I. e la traduzione pratica dell’Intesa è la dimostrazione inequivoca della gravità cui la situazione era giunta.

Non erano questi i segni che si volevano da un nuovo Concordato per rafforzare il carattere laico dello Stato, lasciare alle spalle steccati, fondamenti e coronamenti, creare un paese dove è assicurata la convivenza civile di cattolici e laici, di Chiese diverse e dove sono garantiti, con libertà di coscienza, il dialogo e il confronto delle culture. Né erano questi i segni che la scuola pubblica si attendeva, una scuola irresponsabilmente negata alle innovazioni necessarie, lungamente e vanamente protestata dai giovani e dagli insegnanti, per continuare a sperare nei suoi compiti, nei suoi fini, nel suo divenire sempre più e meglio scuola di studio, promozione e ricerca. Quanto è accaduto e quanto accadrà – perché i processi saranno certamente lunghi e difficili – al di là dei fatti apparenti, attestano intanto la intrinseca debolezza della Chiesa e dello Stato nell’avviare processi risolutivi dei loro rapporti di convivenza e reciprocità con le salvaguardie culturali e procedurali che occorrono.

 

Dalla circolare Falcucci al documento governativo

La circolare 386 firmata dalla Falcucci il 20 dicembre 1985, giunta a destinazione fra il 10 e il 15 gennaio 1986, che imponeva alle scuole di ogni ordine e grado e alle famiglie di dare immediata esecutività all’Intesa, senza informazioni, chiarezze, modalità, senza valutazioni e analisi di praticabilità effettive, è stata sostituita da un documento di accordo governativo di maggioranza. L’accordo impegna direttamente il governo:

  • a fissare entro il 30 aprile p.v., anche con provvedimento di legge, natura, indirizzi e modalità circa le attività culturali da riservarsi agli alunni che non si avvarranno dell’insegnamento cattolico;
  • a fissare al 10 febbraio la data ultima di preiscrizione alla scuola materna e alle prime classi elementari e medie. A confermare al 7 luglio p.v. l’iscrizione ufficiale a tutte le classi e l’esercizio contestuale del diritto di opzione se avvalersi o no dell’insegnamento religioso;
  • ad assegnare ai direttori didattici e ai collegi docenti il compito di organizzare le attività di insegnamento religioso e di quelle sostitutive nelle ore iniziali o finali delle lezioni;
  • a definire le “specifiche e autonome attività educative” in ordine all’insegnamento della religione cattolica nella scuola materna pubblica tenendo conto dei criteri che caratterizzano gli orientamenti in materia di educazione religiosa, vietando ogni forma di discriminazione. Anche qui si chiede l’opzione delle famiglie. L’insegnamento sarà di due ore settimanali distribuibili anche in 4 mezze ore. Anche qui dovranno garantirsi le attività sostitutive per i bambini non avvalentisi.

 

Significati e conseguenze dell’insegnamento religioso

L’inclusione dell’insegnamento della religione cattolica anche nella scuola materna (fatto assolutamente nuovo nel nostro Paese) ha sollevato e continuerà a sollevare, e non solo tra i laici, forti proteste e denunce. Il provvedimento è condannabile da ogni punto di vista, inaccoglibile sul piano psicologico e pedagogico, sovversivo nei confronti dello stesso quadro istituzionale e culturale della scuola del bambino.

La stessa scelta lessicale dell’insegnamento, che sostituisce la vecchia “educazione” prevista dagli Orientamenti del ’69, stravolge concettualmente ogni metodologia vigente, detta procedure dottrinarie e istruzionistiche, umilia la forza degli apprendimenti, scompone la conoscenza in processi separati e curricolari. L’etica psicologica dei bambini viene oggettivamente sconvolta. Ci saranno i bambini del sì e quelli del no, debitamente separati e discriminati, assoggettati a minoranze e maggioranze, sottoposti ad attività parallele e distanziate, strappati dai loro insegnanti, dai loro amici, dalle loro aule, dislocati in spazi gerarchizzati e, il più delle volte, invivibili, stanti le situazioni edilizie e ambientali. Una violenza ai bambini di fatto legittimata. Inaccettabile.

Ma la violenza non risparmia nessuno: non le famiglie tenute a denunciare, si dice in libertà di coscienza, la propria opzionalità, pur conoscendo gli accadimenti successivi; non gli insegnanti che dovranno pure dichiarare la loro disponibilità o no all’insegnamento della religione cattolica, salvo poi il loro riconoscimento di idoneità da parte dell’ordinario diocesano (una situazione di estrema gravità e complessità giuridica e umana). Nel caso di dichiarazione di non idoneità l’insegnante ordinario (statale o comunale) verrebbe surrogato da un docente designato dall’autorità cattolica. Una prospettiva che può aprire contenziosi a non finire, che non lascerà immune la condizione psicologica dei bambini, che inevitabilmente inciderà sull’organizzazione della proposta educativa.

La non obbligatorietà della frequenza della scuola materna, le sue difformità organizzative, l’unicità della figura docente, i tempi di raccolta della sua utenza, la flessibilità degli orari per corrispondere ai bisogni differenziati delle famiglie, la diversa composizione delle sezioni per età omogenea o no, la rigidità dei turni di lavoro, l’angustia e la precarietà degli ambienti: sono questi, tutti, problemi difficilmente compatibili con la riorganizzazione imposta dalle norme prescrittive per l’insegnamento opzionale della religione cattolica.

 

Le reazioni laiche e cattoliche

C’è in tutto questo un’umiliazione pedagogica e culturale di proporzioni inaudite che richiama alle responsabilità e alle complicità situate ai livelli più alti e che solo ora (ma con quanto ritardo) sta illuminando le coscienze sia dei laici che di buona parte degli stessi cattolici. E il tutto si accresce solo si pensi alla disinformazione (che non si può credere casuale) delle famiglie, degli insegnanti, dei direttori didattici sui quali ultimi sono brutalmente scaricate tutte le soluzioni di carattere attuativo, assolutamente impraticabili in chiave di rispetto e di dignità.

Una parte della pubblicistica cattolica, occorre riconoscerlo, aveva già avvertito – e da tempo – i rischi della situazione. Nel maggio 1984 su “Scuola Italiana Moderna” l’Ispettore torinese Piero Rollero anticipava lucidamente timori e contraddizioni connessi ai problemi che sarebbero discesi dall’Intesa sui diversi livelli pedagogici. Nel gennaio 1986 su “Scuola Materna” una lunga lettera indirizzata alla Falcucci dal Coordinamento delle Associazioni, Gruppi e Movimenti di ispirazione cristiana della provincia di Brescia, precorrendo l’accaduto, metteva in guardia (inutilmente) il Ministro chiedendogli di “affrontare il problema mettendosi dalla parte dei bambini” prospettando tutte le preoccupazioni per un ingresso della materia religiosa che avesse discriminato i bambini: “… la separazione o il silenzio, infatti, non capiti per l’età su argomenti che tutti intimamente avvertono essere importanti, oltre che interessanti, finirà col danneggiare tutti i bambini gettando il sere di una futura frattura sociale.”

 

La polemica Falcucci-Spadolini

La questione, finalmente riscoperta nelle sue difficoltà e contraddizioni, ha finito per mettere in crisi le stesse certezze assolute del Ministro Falcucci che in una recente intervista ha confessato che l’inclusione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole materne è stata opera dell’on. Spadolini. Spadolini ha risposto rivendicando a sé, e a tutte le forze laiche, la definizione di “specifiche e autonome attività educative” in questo modo cautelando la possibilità di un insegnamento diffuso che in qualche modo richiamasse l’antico “fondamento e coronamento” del vecchio Concordato.

Alle intenzionalità spadoliniane possono anche riconoscersi suffragi. Ma solo in una visione ideologica, di puri principi e di bandiera, risuscitando esse gli stessi spettri (seppur di segno diverso) che volevano esorcizzare. E comunque, questo il fatto decisivo, astraendo dai diritti psicologici dei bambini e dalle prevaricazioni rispetto alla natura e alla storia della scuola materna, ai suoi modi di essere per i piccoli e le famiglie, ai problemi culturali che le competono. Uno stato di “conflittualità prescritta” non è vivibile da parte dei bambini e ripugna universalmente: e questo è ciò che cattolici e laici debbono assolutamente capire.

 

L’educazione religiosa prevista dagli “Orientamenti’

La subalternità della scuola infantile è un dato che nessuna retorica consolatoria può cancellare: la sua presenza culturale è ampiamente sottovalutata e rimossa. Soprattutto a questo va ascritta anche la dimenticanza dei politici rispetto alle battaglie e ai confronti che nel 1969 si ebbero rispetto alla stesura degli “Orientamenti”‘ e al suo capitolo sull’educazione religiosa. Il saggio dell’amico Guido Petter, uno dei protagonisti di quei tempi, richiama molte cose alle memorie disattente. Io, che amo stare dalla parte dei bambini, prima ancora di dirmi laico, non ho dubbi: è ancora a quel capitolo degli “Orientamenti’ (e soprattutto al suo spirito) faticosamente elaborato, ecumenicamente rispettoso, che occorre riandare se si vuole uscire da questa storia assai triste che sta incombendo sugli anni più delicati della formazione e sulla sopravvivenza ecologica della stessa scuola italiana.

Petter ricorda che il capitolo – poi manomesso da un intervento ministeriale – riconosceva ai bambini anche il diritto di sapere che oltre alla religione cattolica, certo la più inserita e diffusa nella cultura del nostro paese, esistevano altre confessioni. La prepotenza ha cancellato un dato di valore, ha negato quella “domanda di verità di ricerca di senso” che pure il Pontefice attuale sottolinea come peculiari dell’essere umano. Ma il ritorno allo spirito degli “Orientamenti”‘ del ‘69 e in particolare al capitolo sull’educazione religiosa (che può essere suscettibile di modificazioni, nella consapevolezza innegabile che i bambini vivono in mezzo a presenzialità di fatti e sentimenti religiosi che appartengono, oltre che alla cultura, alle loro culture personali) non va riscritto o applicato in chiave di scaltrezza (come già si avverte da qualche parte in giro) caricandolo di spinte in avanti o indietro, perché produca di più o di meno e perché sventoli bandiere sui pennoni.

I bambini ci guardano da vicino e sempre da vicino guardano le cose che facciamo per preservare, quanto più possono, quello spirito di giudizio, di giustizia e di libertà che avvertono come diritto e strumento di conoscenza di relazione.

Personalmente e per concludere (e andando oltre le frontiere della scuola dei bambini laddove certo le questioni si pongono in altre proporzioni di difficoltà e di confronto) la mia laicità non ha nessun timore, fatte le debite selezioni, di incrociarsi con le parole di Alberto Monticone presidente dell’A.C. e di “sperare che adesso si ammainino le bandiere, si vada alla sostanza delle cose, e si scoprano gli elementi che laici e cattolici hanno in comune nei valori etici e di cultura”.

 

Un dibattito aperto

Un tema come quello della “religione a scuola” – e in particolare nella scuola materna – alla luce degli ultimi sviluppi non può certo lasciare indifferenti o passivi i nostri lettori, dei quali è legittimo percepire l’aspettativa di veder trattare questo argomento sulle pagine di “bambini”.

In questo numero apriamo perciò un dibattito e un confronto tra posizioni diverse, senza la preoccupazione – almeno per ora – di coordinarle e di commentarle: ma con l’obiettivo di offrire ampie possibilità di riflessione ai nostri lettori, e in particolare agli insegnanti delle scuole materne, che più degli altri vengono a trovarsi di fronte a problemi di non facile soluzione.

Abbiamo cercato di sollecitare pareri provenienti da fonti diverse, e diversamente orientate nei riguardi dell'”educabilità” religiosa; pareri generali e altri più specificamente incentrati sull’intervento nella scuola dell’infanzia; riflessioni di ordine culturale e disciplinare e altri più centrati sugli orientamenti caratteristici della mentalità infantile dai tre ai sei anni: memorie personali e dichiarazioni provenienti da comunità religiose.

Quella che può apparire eterogeneità, o semplice giustapposizione di materiali diversi, ci auguriamo possa costituire stimolo per ulteriori interventi, scambi, approfondimenti sul problema; non consideriamo l’argomento “chiuso” con questa prima serie di interventi.

Il nostro intento, infatti, non è quello di giungere ad una specie di dichiarazione univoca (che, data la profondità dell’argomento e delle sue articolazioni, sarebbe difficilmente raggiungibile), ma piuttosto quello di offrire strumenti concretamente utili agli insegnanti, elementi di chiarificazione in base ai quali essi possano veramente operare per l’obiettivo fondamentale di “ottimizzare lo sviluppo del bambino”.

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