Riziero Zucchi
Le esperienze ontologiche fondamentali,
quelle che disegnano il tessuto quotidiano,
appaiono le più ovvie, proprio per questo
siamo lontani dall’aver sviluppato una teoria
interpretativa capace di enunciarne il significato
originario.
L. Mortari, Filosofia della cura, Cortina, Milano 2015
Attualità e necessità della cura
Una parola che caratterizza la cultura del nostro tempo è cura. Cura di sé, cura degli altri, cura del pianeta. Termine che si riferisce ad un quadro di riferimento più vasto. Non più una natura da sfruttare, popoli da soggiogare, muri per escludere, bensì una natura da salvaguardare, popoli coi quali avere scambi in un’apertura non solo mentale. Cura come attenzione verso le persone, itinerario di crescita, scambio culturale. Senza la cura la vita non può fiorire. Siamo esseri fragili e incompleti… lo stato di fragilità e vulnerabilità rende fortemente dipendenti dagli altri come nell’infanzia o in condizioni di malattia o nella vecchiaia, anche nell’adultità, pur disponendo di una certa autonomia e autosufficienza, senza l’aiuto premuroso degli altri non si riesce a esprimere le proprie possibilità di essere. Fare pratica di cura è mettersi a contatto con il cuore della vita. (Mortari 2015)
Cura di sé, esser responsabili verso se stessi, consapevoli della propria unicità, ottenuta grazie alla relazione con gli altri. Cura in senso evolutivo: favorire la crescita ri–creare momento dopo momento la persona, le relazioni, le cose. Farle nascere continuamente, rinnovarle. Aver cura per il loro sviluppo con atteggiamento di rispetto, quando rispetto significa accorgersi dell’altro, rendersi conto che esiste e ha bisogno di noi. Occuparsene senza prevaricare, consapevoli della dialettica tra intervento e crescita personale, attenti alle proprie e altrui esigenze. Questo favorisce la trasformazione di sé e dell’altro in un rapporto che esclude la dipendenza e favorisce l’autonomia intesa come capacità di relazionarsi.
La sfida della genitorialità
Nella storia di ciascun individuo le prime cure che si ricevono sono quelle genitoriali, si può forse affermare che sono l’archetipo di ogni altra possibile cura. Esser genitori non è solo metter al mondo una creatura, ma seguirne la crescita, rafforzarla, fornire gli strumenti per orientarsi nel mondo, prendere possesso di sé e agire con e per gli altri. Genitorialità non è mestiere che si impara seguendo manuali o regole, non dipende da indicazioni teoriche o generali, è relazione biunivoca in cui agisce il genitore, ma è autore anche il figlio. (Gopnik 2017)
L’educazione familiare è la risultante di forze convergenti che determinano la crescita degli autori del rapporto formativo. Nel percorso niente è più come prima, si trasforma il figlio, ma cambia anche il genitore. È una relazione che si sviluppa fin dal concepimento. “Ciascuno cresce solo se viene sognato”, afferma Danilo Dolci in una poesia e i genitori sognano il figlio fin dal primo momento, collegando in un legame strettissimo sogno e crescita. Il sogno genera sviluppo è raffigurarsi l’altro, pensarlo adulto, felice, realizzato, la rappresentazione si materializza nella relazione, ne diventa parte. I genitori custodiscono l’immagine presente, progettano l’immagine futura con trepidazione, preparano nella propria mente la sicurezza di un itinerario positivo.
Attualmente molti genitori scrivono diari di gravidanza che non sono solo documentazione dei progressi fisici del bimbo, sono ricchi di emozioni, di proiezioni affettive che gradatamente costruiscono l’ambito ecologico umano che il piccolo d’uomo troverà alla nascita e nutrirà la sua crescita. Cura è funzionale alla trasformazione: fare in modo che l’essere sia messo nelle condizioni di sviluppare tutte le sue potenzialità che devono esser scoperte, notate, chiarite alla persona stessa. Non viviamo con uno specchio davanti, cresciamo tramite l’immagine che gli altri ci danno.
È parte della cura reciproca fare in modo che l’individuo diventi se stesso, con la chiarezza dei propri mezzi, costruendo tramite gli altri la propria personalità. (Vygotskij L.S. 1974) La contiguità spazio temporale condivisa col figlio permette una relazione intensa: nella relazione reciproca si modellano personalità e carattere. Un tempo questa relazione era univoca, attualmente siamo in presenza di genitori con un atteggiamento diverso che Donald Schön definirebbe genitori riflessivi. (Schön D. 1993) Questo permette una relazione maggiormente paritaria. In molti itinerari educativi i genitori trattano l’argomento Come mi ha cambiato mio figlio, oppure Come ha contribuito alla mia crescita. (Bussola 2016) Testimoniano una genitorialità in cammino, che prende coscienza dell’educazione come relazione. Non ci può esser univocità nella cura, se esiste dobbiamo parlare di assistenzialismo. Cura è anche espressione dell’empatia, saper vibrare all’unisono col figlio in modo che accetti la propria esistenza, diventi in grado di sentirsi riconosciuto nelle sue capacità.
La cura genitoriale crea coesione sociale, educare i figli non è un fatto privato: Le teorie etiche tradizionali non hanno saputo vedere la centralità della relazione materna nella costituzione di una civiltà: … chi ha cura dei piccoli … preoccupandosi che acquisiscano piena autonomia, divenendo capaci di badare a se stessi e di contribuire a loro volta alle pratiche di cura di fatto pone le basi della realtà sociale. La funzione materna non è meramente riproduttiva, com’è spesso definita, ma generatrice di cultura. Se si accetta il presupposto che al centro delle preoccupazioni di una cultura vi deve essere il benessere dei nuovi venuti, cioè di chi per la sua condizione di estrema fragilità e vulnerabilità ha bisogno di cure, allora il sapere materno deve assumere un ruolo centrale nell’elaborazione del pensiero morale, sociale, politico economico, giuridico e innanzitutto del pensiero pedagogico. (Mortari 2002, 6-7)
L’incontro tra due professionalità
Vi è un ambito professionale, quello della sanità in cui agisce la centralità della cura. Gradatamente le cure genitoriali vengono riconosciute dall’ambito medico diventando parte di un nuovo paradigma. In un testo scritto a più mani curato da Pino Donghi e Lorena Preta la genitorialità viene posta al centro di un cambiamento della teoria e della prassi delle cure mediche:
Per esempio perché non attribuire al curare anche il significato di “crescere”? Non a caso nella storia di ciascun individuo le prime cure che si incontrano sono le cure materne e sappiamo quanto sia importante che consistano proprio nella trasformazione da parte della madre dei messaggi, delle emozioni che provengono dal bambino e che gli siano restituite elaborate in modo da metterlo in grado di affrontare il mondo che lo circonda e la crescita. (Donghi Preta 1995)
Curare significa favorire il cambiamento, la trasformazione e non più ricomporre, riequilibrare una struttura già data, l’organismo si trasforma, grazie alla vittoria sulla patologia. Attività medica e genitoriale possono esser accomunate dalla stessa definizione: Superamento di momenti di crisi grazie ad una mediazione.
La care, il prendersi cura genitoriale, si collega alla cure, le cure mediche, in un patto che trae le sue origini e le sue ragioni da un rinnovato interesse per la formazione dell’uomo e dall’aprirsi di nuove frontiere in ambito medico: le Medical Humanities. Vi è un’apertura in campo sanitario verso le scienze umane, determinata dall’eccessivo prevalere della razionalità tecnica.
In questa direzione opera la Società Italiana di Pedagogia Medica (Sipem), che raccoglie quanti, in ambito educativo e sanitario, sono interessati a studiare e praticare i punti di intersezione tra le due scienze. Nel 2015 è stata pubblicata una raccolta di saggi curata da Lorenza Garrino, nata dalle ricerche promosse dalla Sipem. (Garrino 2015) Si tratta di modalità operative sorte nell’attuale millennio che mettono al centro la persona, proponendo l’alleanza educativo terapeutica tra il paziente, i genitori, i familiari e i professionisti della sanità.
Nel 2001 i 160 stati componenti l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno deciso di affiancare alla classificazione delle malattie (ICD) la classificazione del funzionamento (ICF). In campo sanitario si passa da un’impostazione di tipo biomedico alla valorizzazione dell’aspetto bio psico sociale, dando spazio alla visione sistemica ed unitaria della persona. Base dell’indagine e della classificazione non sono solo le strutture corporee, ma le attività sociali, le potenzialità e le capacità di partecipazione della persona. L’ambito sanitario si apre alla società, dando voce a coloro che, come i genitori e i familiari, costituiscono il sistema ecologico umano all’interno del quale si forma ed agisce la persona. Sono in grado di indicare le sue potenzialità che devono esser sostenute ed espresse all’interno del sociale. Particolarmente significativa quella che viene definita la “pagina bianca” dell’ICF riguardante i fattori personali che non possono esser classificati perché riguardano l’unicità della persona. Solo coloro che vivono attorno all’individuo, familiari e genitori, sono in grado di descriverli e presentarli a quanti in ambito sanitario si occupano di lui. (OMS 2002)
Grandi speranze per l’integrazione tra il sapere medico e quello genitoriale propone il diffondersi della Medicina narrativa in ambito sanitario. “La Medicina narrativa valorizza la storia del paziente che diventa uno strumento fondamentale di conoscenza della malattia, indispensabile per costruire un efficace progetto terapeutico. (Materia Baglio 2009) La Medicina narrativa legittima il valore della narrazione, lo strumento tramite il quale si esprime la pedagogia dei genitori: i loro racconti riguardanti i figli diventano documenti riconosciuti, funzionali alle professionalità sanitarie, alle diagnosi e alle terapie che vengono inserite in uno scenario ampio di vita. Familiari e genitori, riconosciuti autori di sviluppo e di crescita, affiancano la loro attività a quella del personale sanitario, realizzando l’integrazione dei saperi.
Convergenza di valori
Archetipo della cura è la genitorialità. La seconda delle tre azioni che sostanziano la Metodologia è la formazione dei professionisti attraverso le narrazioni degli itinerari educativi compiuti coi figli. I genitori non propongono indicazioni specifiche agli esperti, tramite i loro racconti li introducono nel mondo dell’educazione familiare. Narrano percorsi di crescita da cui emergono valori in azione, atteggiamenti educativi che hanno contribuito alla formazione dei figli. Dimostrano di esser interlocutori affidabili, mettendo in pratica pedagogie funzionali alla professionalità di tutti gli esperti che si occupano di rapporti umani: la pedagogia dell’identità, della speranza, della fiducia, della responsabilità, della crescita, dell’inadeguatezza.
La pedagogia della fiducia è valore caratterizzante la genitorialità. La relazione stretta fondata sull’affetto che si realizza nella contiguità spazio temporale tra genitore e figlio permette di realizzare un rapporto fondato sulla fiducia. Il bambino si affida al genitore e questa relazione nei primi tempi è totale, gradatamente viene interiorizzata e diventa fiducia in se stesso. Il bambino si appropria delle forme sociali di comportamento e le trasferisce su se stesso (Vygotskij 1974), mantenendo sempre un intenso collegamento con chi ha favorito la sua crescita. Fatte le debite differenze, nel rapporto medico paziente la fiducia è cruciale. Nel 2005 il Royal College of Physicians, l’ordine dei medici inglese, realizza un Working Party, una sessione di lavoro sulla professionalità medica. Le conclusioni vengono affidate a Richard Horton, l’editor in chief della rivista Lancet che sintetizza i lavori con una formula: Definiamo la professionalità medica un insieme di valori, comportamenti e relazioni che sostengono la fiducia che il pubblico ha nei medici. (Royal College of Physicians 2015). Professionalità non è solo l’esecuzione materiale di protocolli sanitari, fornire cure adeguate, è soprattutto una relazione.
Se la fiducia ha spazio nel quotidiano, nel tempo in cui si esplica una relazione, la speranza si apre ad un orizzonte più vasto. È la dimensione all’interno della quale ogni genitore colloca la propria azione formativa. Permette di attribuire continuità all’educazione, nonostante le avversità che si attraversano, di affrontarle con la consapevolezza che possono esser superate.
La medicina affronta professionalmente le difficoltà della persona, ha bisogno di esser sorretta da una dimensione che le permetta non solo una serena consapevolezza nei propri mezzi ma soprattutto di guardare ai problemi con un atteggiamento positivo in grado di infondere al paziente quella forza che permette di superare le problematiche. Vi sono strutture come la Casa dei risvegli presso l’Ospedale Bellaria di Bologna in cui la speranza propria della genitorialità si collega alla sapienza specialistica della sanità. Persone traumatizzate escono dal coma profondo grazie a interventi di eccellenza. In queste situazioni estreme si rivela necessaria l’alleanza tra i valori in azione della famiglia e la professionalità dei medici. I risultati si ottengono grazie ad una relazione stretta in un patto in cui i contraenti sono consapevoli dei reciproci apporti e li valorizzano. (Piperno De Nigris 2018)
Cura genitoriali diventano protocolli medici
In molte situazioni la medicina riconosce l’efficacia di interventi che caratterizzano l’atteggiamento genitoriale facendoli diventare veri e propri protocolli sanitari. L’ambito è spesso quello della neonatologia. Tempo fa era prassi togliere alla madre il figlio che nasceva prematuro e inserirlo in una culla termica. Una sofferenza per la madre che si vedeva privata del primo contatto col figlio. Attualmente si attua la marsupioterapia (Kangaroo Mother Care): un medico acconsentì al desiderio di una madre e le pose il figlio direttamente sul seno. Un’attenta osservazione permise di notare che il bambino a diretto contatto col corpo che lo aveva contenuto per più mesi, di cui conosceva la consistenza, l’odore, il battito del cuore, reagiva positivamente, si rianimava, acquistava desiderio di esistere. Questa operazione, che esaudiva uno dei più profondi desideri del cuore materno, è diventata prassi e, se le condizioni di madre e bambino lo permettono, il neonato viene posto a diretto contatto col seno materno. (WHO, Organizzazione mondiale della sanità, 2003)
Sempre in ambito neonatale la genitorialità viene riconosciuta nelle sue competenze che vengono formalizzate. Spesso la madri che partoriscono un bimbo prematuro sono esauste e non sono in grado di intervenire sul figlio con quell’intensità ed energia necessarie ad infondergli l’amore alla vita. Le coccole, somma di gesti, vocalizzi, carezze con le quali ogni mamma esprime l’amore per il figlio, sono sentimento necessario, fonte di vita. La genitorialità in tutte le sue manifestazioni può esser comunicata, appresa e diffusa. Nasce una genitorialità collettiva che si esprime in una sussidiarietà in grado di generare crescita e desiderio di vivere. In molti reparti di neonatologia sono state organizzate Società delle coccole in cui donne, uomini, anziani imparano a dare al neonato quelle premure e quelle attenzioni che temporaneamente il genitore non è in grado di proporre: rinasce in termini di solidarietà la famiglia allargata, centro della civiltà contadina, che può esser riproposta attraverso il volontariato. (Avallone 2017)
La Metodologia Pedagogia dei Genitori identifica nella pedagogia dell’inadeguatezza uno dei valori in azione che emergono dalle narrazioni delle madri e dei padri. Non ci sono regole o ricette per allevare un figlio, i genitori devono continuamente adeguare l’immagine che hanno di lui ai cambiamenti di personalità e di atteggiamenti che egli adotta in un periodo di intensa crescita. La necessità di porre attenzione alle trasformazioni della persona e della realtà, modifica modi di pensare e comportamenti, lasciando da parte stereotipi, accettando l’etica dell’incertezza che accomuna questo atteggiamento dei genitori all’evoluzione del pensiero medico.
Secondo l’epidemiologo Paolo Vineis la visione della sanità sta evolvendo verso una critica all’eccessiva semplificazione nosografica; occorre accettare il concetto di cambiamento e complessità, facendo proprio il principio di indeterminazione. (Vineis 1990) La logica della medicina viene orientata verso la cultura del dubbio, funzionale al controllo permanente delle proprie asserzioni come richiamo al senso del limite insito in ogni azione umana. Questa impostazione, come quella dell’ICF, apre l’intervento specialistico medico alla collaborazione e alla partecipazione con le altre componenti umane che contribuiscono alla cura e alla crescita dell’uomo.
Collegare il mondo della sanità a quello della genitorialità significa ridare senso alle relazioni funzionali allo sviluppo umano, ricomporre i vari ambiti di cura e crescita e in particolare fondare il patto educativo terapeutico famiglia sanità.
Bibliografia
Avallone S. (2017), Madre per un’ora, un giorno, un po’ …, “La Lettura”, 2 ottobre 2017.
Baglio G., Materia E. (2009), Medicina e verità: tra scienza e narrazione, “Recenti progressi in medicina”, vol. 100, n° 7.
Bussola M. (2016), Notti in bianco, baci a colazione, Einaudi, Torino.
Donghi P., Preta L. (1995), In principio era la cura, Laterza, Bari.
Gopnik A. (2017), Essere genitori non è un mestiere. Cosa dice la scienza sulle relazioni genitori figli, Bollati Boringhieri, Torino.
Mortari L. (2002), Aver cura della vita della mente, La Nuova Italia, Firenze.
Mortari L. (2015), Filosofia della cura, Raffello Cortina, Milano.
OMS (Organizzazione mondiale della sanità) (2002), ICF. Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson, Trento.
Piperno R., De Nigris F. (cura di) (2018), Dal coma alla comunità. La Casa dei risvegli Luca De Nigris, Franco Angeli, Milano.
Royal College of Physicians (2015), Medical professionalism in a changing world, London.
Schön D. (1993), Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari.
Vineis P. (1999), Nel crepuscolo delle probabilità, Einaudi, Torino.
Vygotskij L.S. (1974), Storia dello sviluppo delle funzioni mentali superiori, Giunti, Firenze.
WHO, Organizzazione mondiale della sanità, (2003), Kangaroo Mother Care. A practical Guide, WHO, Geneva.