2014/15 1 WIR EDITORIALE
Apertura della scuola d’infanzia all’ambiente circostante
Era soltanto il mio secondo giorno di lavoro come coordinatore pedagogico di una scuola d’infanzia: nella bussola mi vennero incontro Katja e Patrick, due bambini di circa cinque anni che volevano abbandonare il servizio. “Dove andate di bello?”, chiesi io sorpreso. “Andiamo in edicola a prendere il giornale per Angelika”, mi disse uno. Il mio sconcerto fu grande. Feci andare i bambini, ma mi recai immediatamente dalla loro educatrice Angelika e intrattenni con lei, nei venti minuti successivi, un colloquio molto interessante.
Cosa pensate di questa storia? Forse anche voi vi state ponendo alcune domande. Dov’era il giornalaio? Per arrivare in edicola, i bambini hanno camminato per circa dieci minuti, prima nella proprietà della scuola d’infanzia, poi hanno dovuto attraversare una via laterale tranquilla, infine hanno percorso, sul passaggio pedonale, una strada frequentata. E all’incrocio, dove è situato anche l’ingresso alla metropolitana, vi era l’edicola. I bambini sono andati a prendere una rivista di bricolage o una rivista per l’infanzia? No, si trattava di un quotidiano che all’educatrice Angelika piaceva leggere. I genitori avevano dato la loro approvazione? Angelika, ovviamente, aveva informato i genitori del suo gruppo in merito al suo lavoro e ne aveva discusso con loro.
L’educatrice Angelika realizzò nel suo lavoro un’idea pedagogica di apertura all’ambiente circostante della scuola d’infanzia che trovo sempre più convincente. Nel colloquio avuto con lei, ho colto in particolare due motivazioni. La prima: nulla era per i bambini più allettante che muoversi all’esterno della scuola d’infanzia. Lì c’era così tanto da scoprire da soli, ma tornerò su questa motivazione in un secondo momento. Seconda motivazione: il compito di poter andare a prendere il giornale era un lavoro eccezionale nella sezione di età mista, che era naturalmente riservato ai bambini esperti. Un vero e proprio privilegio acquisito autonomamente, dunque: valeva la pena crescere e sviluppare competenze all’interno di questo gruppo.
I bambini non vogliono recinti
L’ampliamento del servizio di assistenza nelle scuole d’infanzia pubbliche, avvenuto negli ultimi anni in molti Paesi europei, è stato richiesto e attuato per delle ragioni valide. Almeno due sono i motivi che erano e sono tuttora alla base di ciò: equità nella formazione e pari opportunità in termini di politica del mercato del lavoro per le famiglie con bambini. Ma siamo sinceri: non accadde nulla per via dei desideri dei bambini. Hans Rudolf esprime questo concetto in maniera molto drastica: “L’ampliamento del servizio di assistenza nelle scuole d’infanzia pubbliche significa, in sostanza, una maggiore istituzionalizzazione dell’infanzia … Essa è necessaria, poiché la quotidianità degli adulti è organizzata in modo tale che i bambini vi rappresentano un elemento di disturbo.” (Leu p. 62) L’istituzione di una scuola d’infanzia, dunque, viene a implicare l’emarginazione dei bambini dal mondo adulto, il che non può essere smentito da gite occasionali (anche su questo torneremo in seguito). Perlomeno nelle città, i bambini non sono quasi mai presenti senza accompagnamento pedagogico e, a tal proposito, il ricercatore sull’infanzia Jens Qvortrup parla di un “assedio assistenziale” dei bambini.
Ma chiediamolo un po’ ai bambini! L’educatrice Regina Delarber, nell’ambito di un aggiornamento per gli “specialisti dell’approccio situazionale” ha fatto e scritto esattamente la stessa cosa: “Nella valutazione delle domande è emerso che, su 82 bambini consultati, 53 erano quelli convinti di voler fare più esperienze al di fuori della scuola d’infanzia. Particolarmente significativa è stata per noi l’affermazione di Ruben: ‘Ci piacerebbe saltare spesso il recinto, Regina, anche se tu non vuoi sentirlo!’” (Delarber p. 94) Recinti e muri sono sempre una misura difensiva. Alla tacita organizzazione del tragitto, i bambini oppongono la loro curiosità. Pertanto, è nel loro interesse il nostro fare in modo che essi possano partecipare alla vita comunale, e non come figure estranee che appaiono occasionalmente, bensì come concittadini partecipativi.
L’apertura come caratteristica concettuale
Le direttive quadro in materia di scuole d’infanzia in Alto Adige descrivono le implicazioni pedagogiche della “apertura degli spazi di comunicazione nei confronti dell’ambiente circostante” al punto 3.3.2.3. Vi vengono menzionate, inter alia, l’estensione dello spettro esperienziale sociale, la conquista attiva del mondo e possibilità (piuttosto vaghe) di partecipazione. L’apertura ivi descritta si inserisce nel contesto di un quadro di riferimento la cui prima frase programmatica recita: “I bambini imparano sin dall’inizio e affrontano il mondo con spirito esploratore.”
L’approccio situazionale favorisce un apprendimento in situazioni reali e quotidiane. Esso si pone criticamente nei confronti di un’istituzionalizzazione stricto sensu dei servizi educativi, poiché tali servizi impediscono tendenzialmente una vita selvaggia e producono una zona di perspicuità e sicurezza, in altri termini un mondo vitale (Lebenswelt) artificiale che, per ragioni di legittimazione, denuncia il mondo esterno come “pericoloso” o addirittura “cattivo”. Gli specialisti dell’approccio situazionale accettano, per contro, l’imprevedibilità di base della vita e aiutano i bambini a sviluppare, in situazioni di vita attuali, quelle competenze di cui hanno bisogno ora e in futuro, e non soltanto quelle di cui i bambini hanno bisogno per raccapezzarsi nella scuola d’infanzia (cfr. Preissing/Heller).
Il concetto di scuola d’infanzia aperta ha sviluppato numerose sfaccettature: inizia perlopiù con l’apertura degli spazi e delle strutture per gruppi. Se, tuttavia, ciò non va di pari passo con un’approfondita riflessione pratica e un’assunzione di responsabilità da parte degli adulti, ben presto subentra il caos. Ma il Lavoro Aperto richiede l’attenzione e la mobilità del personale educativo se quest’ultimo intende raggiungere il suo scopo principale: “seguire le tracce dei bambini e lasciare tracce” (Lill p. 5). Nondimeno, le tracce dei bambini conducono verso l’esterno se li lasciamo liberi.
La community education di matrice anglosassone si prefigge lo scopo di motivare le persone, attraverso la formazione, a considerarsi artefici attivi del loro mondo vitale, e di permettere loro di battersi per i propri interessi e per quelli altrui. Le risorse sociali devono essere riconosciute e i disservizi in termini di responsabilità sociale eliminati. A tal fine, il servizio educativo deve esso stesso aprirsi al mondo vitale dei suoi bambini e delle rispettive famiglie, e cercare partenariati con altri attori. “Think global-act local” è uno dei motti di questo movimento internazionale (cfr. Buhren).
Infine, in questo elenco incompleto è doveroso un breve cenno al concetto di orientamento alla concreta esperienza di vita (Lebensweltorientierung). Sin dagli anni Novanta, tale concetto rappresenta una massima portante nell’assistenza all’infanzia e alla gioventù. Essa si oppone alle pratiche standardizzate e a tutte le forme di allestimento istituzionale. Al contrario, è il reale mondo vitale dei bambini e delle loro famiglie a essere preso sul serio e accettato. Lo scopo è lo sviluppo di competenze per questa quotidianità. In tal senso, l’assistenza all’infanzia e alla gioventù non si pone come saccente esperta, bensì come partner del modello interpretativo soggettivo dei suoi utenti (cfr. Ministero federale).
Contraddizioni e tensioni
Se sono così tanti i fattori e le persone a perorare la questione dell’apertura della scuola d’infanzia all’ambiente sociale e fisico circostante, una domanda sorge spontanea: perché l’apertura non è già da tempo una caratteristica quotidiana della formazione nell’età dell’infanzia?
Innanzitutto, in questa sede devo spezzare una lancia a favore della scuola d’infanzia, nel rispetto del personale qualificato: se paragonata agli altri servizi educativi, la scuola d’infanzia non è il servizio più chiuso. Quasi ogni giorno, nella S-Bahn (ferrovia veloce urbana) di Berlino, mi imbatto in gruppi della scuola d’infanzia che sono fuori e si stanno dirigendo verso una meta lontana. Conosco molte scuole d’infanzia che intrattengono un vivace rapporto con la comunità (ecclesiastica). In centro, vi sono scuole d’infanzia che fanno di uno svantaggio, ovvero il fatto di non possedere un proprio parco giochi, un vantaggio: i loro bambini, grazie alle numerose gite, sono quelli che sono più pratici del vicinato. E ricordo ancora oggi i numerosi spostamenti che venivano organizzati nella mia infanzia: in estate o a San Martino, centinaia di bambini attraversavano spesso la città, accompagnati soltanto da pochi adulti.
Ancora oggi le gite dalla polizia, dai vigili del fuoco o in museo fanno parte del repertorio standard di molte scuole d’infanzia. Tuttavia, spesso questi eventi presentano delle caratteristiche comuni, come illustra Roger Prott: “L’educatrice pianifica, prepara, organizza, stabilisce i tempi e controlla: gli orari, la distanza percorsa, il vitto, la distribuzione in file da due e altri aspetti. Il tragitto verso la meta viene velocemente superato, tutto ciò che sta in mezzo funge da impedimento, è in parte pericoloso e disturba … La protezione mira a tutelare i bambini da danni fisici, a loro non deve capitare nulla. La protezione spesso tutela i bambini anche da contatti sociali: i bambini devono stare in silenzio sull’autobus per non disturbare nessun altro … Una volta giunti alla destinazione della gita, i bambini guardano tutto, forse possono toccare qualcosa e porre un paio di domande prestabilite; poi si ripercorre nella stessa maniera la stessa strada per rientrare alla scuola d’infanzia.
Che cosa possono imparare i bambini in tale contesto?
L’educatrice sa come orientarsi. Sa ciò che va bene e ciò che è interessante; o almeno sa ciò che deve andar bene ed essere interessante.
L’educatrice organizza tutto, sistema tutto, collauda tutto.
Gli adulti fanno tutto; come bambino, mi è sufficiente osservare …” (da Becker-Textor/Textor p. 81 sg.)
Se la scuola d’infanzia si dà il compito di aprirsi oltre a gite di questo tipo, entra in un campo di contraddizioni e tensioni a cui dobbiamo resistere. Vorrei illustrarne brevemente tre:
Immagine del bambino versus istituzionalizzazione
Tutti i programmi educativi a me noti partono dal bambino come discente attivo, che possiede una motivazione intrinseca a svilupparsi e la vive di norma appieno e con energia. Tra i “requisiti di base dei bambini”, Gerd E. Schäfer annovera, tra gli altri, “la possibilità di muoversi fisicamente, di agire e di fare esperienze sensoriali; la possibilità di cogliere e differenziare il significato emotivo degli avvenimenti di vita quotidiani; una capacità di comunicazione di base sin dall’inizio; un costante bisogno di imparare cose nuove e sconosciute”. (Schäfer, p. 14) Nella pedagogia dell’infanzia, dobbiamo seguire con attenzione e valorizzare tali bisogni legati all’avventura dell’apprendimento; possiamo sperare in un successo educativo soprattutto laddove permettiamo, sosteniamo e se necessario ampliamo le attività iniziate dai bambini: il personale qualificato composto da educatori e insegnanti apre così la porta di quella zona ad alta sicurezza che è la scuola d’infanzia. Tutto ciò entra in attrito con le rivendicazioni delle istituzioni da noi create: esse insistono sulla perspicuità, sulla demarcazione delle frontiere, sulla calcolabilità. Quando sono soltanto i punti di vista istituzionali a determinare la vita, il controllo e la tutela acquistano terreno. Soprattutto i servizi chiusi tendono a limitare lo spazio di libertà individuale. Le avventure sono quasi impossibili in seno all’istituzione.
Formazione versus assistenza
Nello spazio germanofono, l’idea di Fröbel di un servizio educativo per tutti i bambini non è riuscita a farsi strada per molto tempo. Al contrario, sono stati fondati, a parte qualche rara scuola d’infanzia civica frequentata per poche ore dai bambini della cittadinanza benestante, soprattutto servizi per la custodia e l’assistenza dei bambini dei ceti sociali inferiori e impoveriti, di cui si voleva garantire il benessere fisico e soprattutto mentale. La scuola d’infanzia e i servizi di assistenza ai bambini in età scolare si sono sviluppati in Germania soprattutto a partire da motivazioni di matrice assistenziale. Si puntava sull’assistenza, la sorveglianza e la compensazione educativa. E proprio per questo per molto tempo non si è potuta nemmeno formare una vera e propria professionalità del lavoro di educatore. Una “formazione” alla maternità era del tutto sufficiente. Di fatto, la formazione per la scuola d’infanzia preparò a lungo ad attività assistenziali sia nella scuola d’infanzia, sia all’interno della famiglia (cfr. Ebert, p. 115). Ma oggi tutti gli addetti ai lavori sono concordi nel dire che la scuola d’infanzia e i servizi di assistenza ai bambini in età scolare stanno sperimentando un enorme incremento di importanza per via dei cambiamenti sociali. I programmi educativi hanno dato molteplici impulsi per un ulteriore sviluppo. Non si tratta di un mero riconoscimento politico: il lavoro socio-pedagogico con i bambini è di grande importanza sociale, nonché un campo di attività professionale. Chi vuole veramente riconoscere i diritti di tutti i bambini in materia di istruzione descritti nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, deve impegnarsi per un’elevata qualità della formazione pubblica. Ma sulla scuola d’infanzia continua ancora a gravare questo retaggio assistenziale, cosa che emerge in maniera particolarmente chiara quando, per ragioni di opportunismo finanziario, si risparmia su requisiti o qualifiche personali.
Apprendimento sul campo versus apprendimento scolastico
Giocare e imparare sono esperienze sinonimiche per i bambini. Quando un bambino dice: “Oggi ho soltanto giocato”, di norma non esprime noia, bensì sottolinea soltanto la differenza tra un apprendimento sul campo, spesso intuitivo, e un apprendimento orientato alla funzione e allo scopo, come quello organizzato perlopiù dal mondo adulto (cfr. Zehnbauer, p. 63). Quest’ultimo didattizza la situazione, predispone l’apprendimento a piccole dosi, controlla le condizioni e i risultati. Tutto ciò viene meno quando il gruppo di bambini della scuola d’infanzia si addentra in una vita avventurosa. Lì vi sono un cane libero (da dove viene?), una bufera improvvisa, un uccello morto sul ciglio della strada (dove vive ora la sua anima?), una voglia pazza di gelato (e niente soldi!), persone estranee, una casa abbandonata (un nido di briganti?), un gorgoglio e luccichio sotto il coperchio del tombino (sono i pesci che nuotano?), un muro che invita all’equilibrio. A proposito: un’uscita con un gruppo di bambini non è una passeggiata. I bambini non vanno a passeggiare (se li si lascia liberi, li si vede correre, zompare, saltare, camminare all’indietro, bilanciarsi), poiché “sanno” che non vi è nulla di meglio per il loro sviluppo sia motorio, sia cognitivo. Una visione diametralmente opposta rispetto a quella pedagogia fautrice dello stare seduti in spazi chiusi e circoscritti.
Atteggiamenti e competenze necessari
Per concludere, mi soffermerò sul comportamento degli specialisti e citerò alcune competenze che ritengo utili per l’apertura all’ambiente circostante. All’immagine del bambino come discente attivo corrisponde la richiesta di accompagnare, osservare e imparare a capire attentamente tale processo di apprendimento. Nella maggior parte dei programmi educativi, si attribuisce un valore elevato all’osservazione, alla documentazione e all’interpretazione dei processi di apprendimento dei bambini. Si tratta di accogliere favorevolmente gli impulsi, gli interessi e le motivazioni del bambino, per poi offrirgli un aiuto adeguato e il più possibile personalizzato, in cui questo sia auspicato dal bambino o sia utile al suo ulteriore sviluppo. In ultima istanza è poi il bambino che decide se accettare o meno queste offerte. In tal senso, un giro nei dintorni può trasformarsi in un’avventura democratica di apprendimento, poiché all’angolo della strada ci sono almeno cinque possibilità di proseguire il percorso. Cinque? Vedo cinque possibilità: a sinistra, a destra, diritto, indietro o fermarsi! Forse, però, le possibilità decisionali sono ancora più numerose.
Nell’accompagnare i bambini nell’ambiente circostante della scuola d’infanzia, entrano in gioco le competenze comunicative. Se il personale qualificato non ha preparato tutto e vuole annunciare ancora qualcosa, avvierà un dialogo con i bambini già prima della partenza dalla scuola d’infanzia. Dove si andrà? Che cosa potrebbe aspettarci? Perché fa bene? Come possiamo stabilire contatti? Chi sa già qualcosa? Come ci arriviamo? Cosa dobbiamo portarci appresso? Che cosa accade se …? Queste spesso non sono domande semplici e proprio qui risiede la loro importanza per la formazione che dipende dalla comunicazione. Le gite possono iniziare con conversazioni filosofiche (cfr. Dreier/Hildebrandt).
Come per tutte le azioni pedagogiche, la capacità di cambiare prospettiva è proficua. L’ambiente circostante di cui si sta parlando in questa sede è ben noto a noi adulti (perlomeno apparentemente). Da esso ci aspettiamo poco di sorprendente. Per i bambini, però, è tutto nuovo. Per questo occorre ripeterlo spesso: ciò che su di noi ha un effetto estenuante è per i bambini il tentativo di imparare a individuare le costanti e le differenze. Il lattante fa cadere infinite volte la palla a terra affascinato. Il bambino di tre anni vuole sentirsi leggere sempre la stessa storia. Ma allora come mai la visita dai vigili del fuoco avviene al massimo una volta all’anno? In fin dei conti, la nostra curiosità nei confronti del mondo è fondamentale. Nel contatto con i bambini, possiamo capire quante domande non ci poniamo più pur non conoscendone spesso la risposta. Perché la sabbia umida è più scura di quella asciutta? Perché ci sono le guerre? Come ha origine la vita? I cani possono sognare? Che rumore fa un albero che sta cadendo se nessuno lo sente?
L’apertura della scuola d’infanzia all’ambiente circostante arreca benefici a chiunque: i bambini e il personale qualificato ne traggono un’infinita panoplia di possibilità esperienziali e didattiche. E la società, dal canto suo, riscopre nei suoi bambini la voglia di imparare divertendosi.
Prof. Ludger Pesch
Fino al febbraio 2015, ha trascorso un semestre sabbatico per scopi di ricerca in Alto Adige. Nato nel 1958, ha conseguito la Laurea in Pedagogia e Consulenza Organizzativa ed è attualmente docente di Pedagogia della Prima Infanzia presso la Katholische Hochschule für Sozialwesen (Università Cattolica dei Servizi Sociali) di Berlino, nonché direttore delle attività di aggiornamento presso l’Istituto di Approccio Situazionale dell’Accademica Internazionale, facente capo all’Università Libera di Berlino.
Bibliografia:
Becker-Textor, Ingeborg/Textor, Martin R.: Der offene Kindergarten – Vielfalt der Formen. Freiburg 1997
Buhren, Claus G.: Community Education. Münster 1997
Bundesministerium für Jugend, Familie, Frauen und Gesundheit (a cura di): Achter Jugendbericht. Bericht über Bestrebungen und Leistungen der Jugendhilfe. Bonn 1990
Delarber, Regina: Komm, wir springen über’n Zaun. In: Lipp-Peetz, Christine/Wagner, Irmgard (a cura di): Bildungsort und Nachbarschaftszentrum. Hohengehren 2002, pp. 92 – 95
Dreier, Annette/Hildebrandt, Frauke: Was wäre, wenn …? Fragen, nachdenken und spekulieren im Kitaalltag. Berlin 2014
Ebert, Sigrid: Erzieherin – Ein Beruf im Spannungsfeld von Gesellschaft und Politik. Freiburg 2006
Leu, Hans Rudolf: Bildungsauftrag und Öffnung der Kita. In: Lipp-Peetz, Christine/Wagner, Irmgard (a cura di): Bildungsort und Nachbarschaftszentrum. Hohengehren 2002, pp. 58 – 69
Lill, Gerlinde: Was ist gute Offene Arbeit? Wie eine klare Positionierung zu Qualität verhilft. In: Theorie und Praxis der Sozialpädagogik, 7/2011, pp. 4 – 8
Preissing, Christa/ Heller, Elke (a cura di): Qualität im Situationsansatz. Berlin 2009
Schäfer, Gerd E.: Was ist Erfahrungslernen? Überlegungen zu einer Pädagogik des Innehaltens. In: Theorie und Praxis der Sozialpädagogik, 2/2010, pp. 10 – 17
Zehnbauer, Anne: Lebensnahes Lernen oder leben lernen. In: Deutsches Jugendinstitut (a cura di): Orte für Kinder. Auf der Suche nach neuen Wegen in der Kinderbetreuung. Weinheim und München 1994, pp. 57 – 73