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Educazione, formazione, istruzione

Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta

Sono felice per l’elezione di Obama ma non condivido e anzi trovo pericolose e controproducenti le attese messianiche sintetizzate in titoli a tutta pagina nei quotidiani di oggi, del tipo “Il mondo è cambiato”, “Il mondo è a una svolta” e simili. Questa mia opinione serve a entrare direttamente nel tema attorno al quale stiamo oggi discutendo.

Ritengo infatti che il messianismo sia il prodotto di una società contemporanea povera di modelli di adulto significativi: come notava Romano Guardini, “..noi educhiamo attraverso quello che diciamo, attraverso quello che facciamo ma soprattutto attraverso quello che siamo. Alla mancanza di figure adulte che testimoniano una specie di punto di arrivo verso cui vale la pena di muovere, i giovani [ma anche gli adulti] reagiscono in modo narcisistico, rifiutando di crescere – gli psicologi la chiamano ‘sindrome di Peter Pan’, i sociologi ‘famiglia lunga del giovane adulto’- oppure si cercano esempi dove li trovano, siano cattivi maestri o illusori modelli forniti dal mondo dello spettacolo, o messia politici molto discutibili”. (Luisa Ribolzi, La formazione, una risorsa per tutti, Università di Genova, 2004, 4.)

Perché non riflettere invece sul fatto che oltre due secoli fa uno dei padri fondatori degli Usa, Benjamin Franklin, sosteneva che “an investment in knowledge always pays Albino porta scorrevolethe best interest” (l’investimento nella conoscenza è quello che paga gli interessi più alti) e che “the only thing more expensive than education is ignorance” (la sola cosa più costosa dell’educazione (conoscenza) è l’ignoranza)?

Di questo dovremmo entusiasmarci e su questo dovremmo impegnare le nostre risorse materiali e intellettuali.

Già negli anni Settanta del secolo scorso, l’economista francese Jacques Hallak (Jacques Hallak, À qui prote l’école?, PUF, Paris 1974) si chiedeva “A che serve la scuola?”.

Tre annotazioni a margine di quel libro (Luisa Ribolzi, cit., 2-3):

1. è interessante sottolineare che oggi non si parla più solo di “scuola” ma di formazione: la prospettiva si è spostata dagli aspetti formali e strutturati all’insieme di esperienze (formali, informali e non formali) che una persona compie nel corso di tutta la sua vita, e che contribuiscono alla sua crescita. Queste esperienze non avvengono quindi solo in luoghi a questo destinati, come la scuola o l’università, ma nel tempo libero, in famiglia, con l’uso dei mezzi di comunicazione di massa;

2. la parola “formazione”: in italiano abbiamo tre termini (educazione, formazione, istruzione) che in inglese sono riassunti da uno solo (education) e che indicano cose parzialmente diverse: l`istruzione indica soprattutto gli aspetti tecnici dell’apprendimento, le cose che si imparano a fare, la formazione oggi indica prevalentemente quella parte di apprendimento che è legata al lavoro, mentre il termine educazione è il più generale, e si riferisce anche agli aspetti culturali, etici, politici del processo formativo;

3. la domanda sulla formazione riguarda l’immagine che abbiamo del futuro nostro e della nostra società e, in ultima analisi, i valori che consideriamo importanti.

Ogni persona, però, non fa parte solo di una società, ma appartiene a diversi gruppi (la famiglia, la comunità locale, gli amici) che hanno per lei un significato profondo e coinvolgente (mondi vitali) e che trasmettono valori che non necessariamente coincidono con quelli della società nel suo insieme.

Questo problema era relativamente poco importante in una società sostanzialmente coesa, quale è stata la nostra fino alle soglie della postmodernità, in cui esisteva un chiaro centro che originava i valori, e a cui ovviamente ci si poteva opporre: ma la società contemporanea è caratterizzata dalla presenza di molti centri o, secondo alcuni, dall’assenza di un centro qualsiasi, per cui manca un comune orizzonte di riferimento e l’identità personale, che è il punto di arrivo del processo di socializzazione, diviene debole, frammentaria, “pendolare” (Luciano Gallino, Personalità e industrializzazione, Einaudi, Torino, 1968) o, con una definizione che io trovo molto suggestiva, “senza fissa dimora” (B. Berger, R. Berger, H. Kellner, The homeless mind, Penguin Books, Harmondsworth 1973).

Quello che possiamo dunque chiamare con una specie di gioco di parole “l’obiettivo educativo della formazione” procede in un difficile equilibrio fra la necessità di individuare e sottolineare gli elementi comuni della cittadinanza, pochi e proprio per questo non negoziabili, e la necessità di rispettare e valorizzare le componenti più personali della socializzazione giovanile, quelli derivati dall`appartenenza ad uno o più mondi vitali.

Solo una formazione risorsa per tutti, equa nel senso che consente a tutti di raggiungere il massimo livello possibile, in relazione alle proprie aspirazioni e alle proprie caratteristiche personali, può svolgere il primo compito che le è assegnato, realizzando una vera funzione di socializzazione.

Martinengo il gatto del vicinoLa formazione non è un bene “a somma zero” (il che significa che se io ne ho di più, qualcun altro ne ha necessariamente di meno), ma si comporta in modo esattamente opposto: tanta più ne esiste tanta più se ne può produrre, perché contrariamente ai beni materiali, che quando si trasmettono non possono più essere usati dal precedente proprietario, tanto più viene condivisa tanto più diviene potenzialmente fruttuosa.

La formazione alla conoscenza non ha nulla a che fare con “..la mancanza di pensiero, la ripetizione di verità diventate vuote e trite che sembrano tra le principali caratteristiche del nostro tempo. Occorre insegnare a pensare a ciò che facciamo. Una civiltà che ha cura di sé, e dunque tiene in massimo conto il valore della libertà, non può non dedicare risorse alla formazione di un pensiero autonomo. Per questo vanno organizzati adeguati contesti di apprendimento, che facciano acquisire pratica del come pensare senza prescrivere che cosa si debba pensare né quali verità debbano essere credute.” (Luigina Mortari, A scuola di libertà. Formazione e pensiero autonomo, Cortina, Milano, 2008)

Una formazione alla libertà, dunque.

Guido Calogero, il filosofo e polemista laico del Mondo, definiva la scuola pubblica in democrazia, cioè la scuola laica, quella in cui “..nessuno può avere definitivamente ragione senza la possibilità e la probabilità che qualcun altro gli dia torto“: quella in cui la crescita culturale e civile del cittadino si realizza anche grazie al libero confronto fra le più diverse opzioni e prospettive culturali (il che ovviamente è cosa diversa dalla libertà di imbonimento, dalla mancanza di probità intellettuale, dall’assoggettamento alla propaganda; anche se è dubbio che questa distinzione sia merce corrente nell’Italia di questi anni).

E, infine, una formazione che tenga conto delle relazioni e dei sentimenti, perché “nel regno degli esseri viventi non esistono cose, ma solo relazioni” (G. Bateson, 1976).

La scommessa dei bambini, Milano, 2008

Documentazione:

Due importanti progetti di continuità educativa: la formazione con l’osservazione e le sezioni di raccordo nido-materna

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