“La pedagogia è sempre una questione politica indipendentemente da quanto ne siamo consapevoli … Significa chiaramente affrontare scelte politiche.”
Loris Malaguzzi
In questo intervallo tra la campagna elettorale appena chiusa e la prossima che si annuncia imminente, ci riserviamo una modesta riflessione sul fare politica implicito nel mestiere dell’educatore.
L’intervento di Peter Moss dedicato ai servizi per l’infanzia in tempi di crisi è un buon supporto per sviluppare un discorso ampio che ridia prospettiva al ruolo della scuola e degli educatori in una fase in cui sono in crisi valori universali e le prospettive per il futuro sono sempre meno chiare.
Riportando la riflessione nelle dimensioni del nostro ambito, tra educatori impegnati nei primi anni di vita dell’infanzia, appare evidente come le priorità nell’attuale dibattito siano strette e inadeguate a dare una prospettiva di sviluppo.
Non possiamo avvitarci e richiuderci nell’insulso dibattito su uno zerosei tutto attaccato o con un trattino in mezzo (zero-sei) o come somma di uno zerotre + un tresei, anche se tutto questo affannarsi risponde a grumi consolidati di aggregazioni sindacali e professionali ormai ridotti a difendere posizioni residue del passato che non sono neppure più in grado di offrire rendite di posizione. Fermarsi a questa dimensione è accettare la sconfitta di ogni riflessione sul futuro non solo del sistema educativo, ma soprattutto del destino delle generazioni che si affacciano oggi alla vita.
Né può essere consolante rifarci e attestarci sulla ormai abusata etichetta offerta dall’allora ministro Luigi Berlinguer sulla scuola dell’infanzia come gioiello di famiglia.
Quello che ci troviamo davanti è la scomparsa della “famiglia” educativa con il confino dei gioielli ormai destinati all’ossidazione e all’offuscamento in qualche remoto cassetto.
Moss suggerisce una via: “è necessario un rinnovamento di tutta la pubblica istruzione, un processo in cui l’educazione della prima infanzia gioca un ruolo centrale; usando le parole di Loris Malaguzzi, la scuola dell’infanzia dovrebbe funzionare come “il primo mattone nella ricostruzione delle scuole primarie, un atto che non può più essere posticipato, e che potrebbe innovare l’educazione per i bambini di tutte le età”. In breve, dobbiamo allineare l’immagine delle scuole per i bambini più grandi con quella delle scuole per i bambini più piccoli”.
Già abbiamo affrontato la necessità di un cambio di prospettive, del necessario passaggio da una visione zerosei a un progetto zero sedici (A. Acerbi, Zeroseiup Magazine 5, settembre 2018).
Non è una prospettiva immediata, ci vorrà tempo (molto temo: sono passati trent’anni dalla proposta di legge d’iniziativa popolare che raccoglieva la sostanza di quello che è stato recepito oggi nel decreto ’65), ma soprattutto ci vuole intelligenza, acume, pazienza e volontà.
Un dato è certo: non possiamo aspettarci nulla dall’esterno, non sarà la politica, l’economia, la finanza a elaborare pensieri nuovi, a impegnarsi per un mondo diverso. La tendenza generalizzata dei recenti lustri è stata di piegare l’educazione all’economia, di esasperare un sistema educativo teso a far crescere competenze (funzionali a un sistema produttivo in continua evoluzione e che quindi bruciava l’attualità delle competenze prima ancora che la scuola le producesse completamente) a scapito della cultura come capacità dell’uomo di ragionare, autodeterminarsi, formarsi per rispondere alle necessità dell’evoluzione sua e del pianeta.
Nel nostro piccolo mondo singolo possiamo e dobbiamo agire, rifiutare la rassegnazione, guadagnare spazi, creare alleanze.
Dobbiamo noi per primi convincerci che “SI PUÒ FARE”, riprendere l’entusiasmo e la fede che ci ha portati a costruire le eccellenze educative di cui oggi possiamo ancora vantarci: “Ricordo che si viveva un periodo in cui tutto sembrava possibile … Nel periodo postbellico dopo il dolore e dopo le rovine, emerse un fenomeno molto particolare e impetuoso che suscitò forti sentimenti di aspirazione, entusiasmo ed eccitazione. Si trattava dell’assurda convinzione nella capacità di sapere escogitare qualsiasi rimedio, di pensare che nulla fosse impossibile da realizzare” (Loris Malaguzzi).
Per pretendere di rimettere in moto la nostra vita e il nostro mondo: dovremo pretendere che ognuno giochi il suo ruolo, che i Sindacati escano dalla difesa delle posizioni acquisite per aprire nuove prospettive, che il Ministero e i Comuni provino di nuovo a sperimentare o che, quanto meno, lascino spazi a chi volesse osare qualche passo avanti.
Sicuramente il nostro futuro si gioca sull’educazione, non sui piccoli equilibrismi delle ingegnerie istituzionali che spostano piccoli tasselli lasciando tutto come prima ma nella convinzione che la scuola “potrebbe essere una delle istituzioni più importanti in grado di aiutarci a costruire una conversazione sul futuro. Una scuola locale è un luogo fisico in cui i membri della comunità sono incoraggiati a incontrarsi e a imparare l’uno dall’altro, è uno degli ultimi spazi fisici in cui possiamo iniziare a costruire la solidarietà intergenerazionale, il rispetto per la diversità e la capacità democratica necessaria ad assicurare la correttezza nel contesto del cambiamento sociale e tecnologico … È il momento giusto sia per difendere l’idea di scuola come risorsa pubblica sia di re-immaginare come potrebbe evolversi se riuscisse ad attrezzare le comunità per rispondere ai cambiamenti sociotecnici dei prossimi anni e per adattarli”. (Facer, K. (2011) Learning Futures. London: Routledge).