Sono innumerevoli gli approcci e i temi del dibattito in merito al sistema zerosei. Si discute che cosa sia continuità, quale sia o possa essere il glossario comune a operatori con una storia diversa e con riferimenti anche gestionali diversi, si cerca di trovare il terreno comune (il gioco, la cura, la relazione, …) da cui avviare un comune sentire.
Resta un po’ sottotono il tema di chi educa: educatore o insegnante, comunque vogliamo definirlo.
Uno dei capitoli di spesa più consistenti del Pnrr per la scuola è quello relativo all’apertura di nuovi nidi e scuole dell’infanzia.
In ballo ci sono 4,6 miliardi di spesa destinati alla copertura di oltre 250 mila nuovi posti per bambini da zero a sei anni.
C’è un problema di ritardi burocratici: anche qualora si riuscissero ad aprire i cantieri in tempo utile rispetto alle scadenze imposte dalla Commissione europea e i lavori andassero tutti a buon fine, c’è il rischio di inaugurare i nuovi asili senza avere gli educatori per farli funzionare. Quanti ne servirebbero?
Almeno 32 mila in più di quelli che ci sono ora, secondo gli ultimi calcoli riportati da due associazioni del terzo settore sulla base di dati Istat. Peccato che già adesso gli educatori dei nidi siano merce rarissima, mentre a causa dei pensionamenti nei prossimi dieci anni è previsto un dimezzamento secco del personale delle scuole d’infanzia.
Mancano educatori/trici già ora. Il fenomeno si acuirà nel prossimo futuro. Quali sono i motivi? Ci piacerebbe avviare un dialogo con i nostri lettori che partisse dalle esperienze di chi lavora nel settore per un disanima e un rilancio di iniziative.
Certamente ci sono problemi economici: la remunerazione non è particolarmente alta, soprattutto guardando alla molteplicità e varietà dei contratti in essere. Ma a farci riflettere è anche il fatto che la partecipazione ai concorsi pubblici per questa funzione è crollata negli ultimi tempi a livelli bassissimi (anche se si tratta di posti a tempo indeterminato e con requisiti di garanzia).
Ci sono problemi di riconoscimento sociale: tutte le professioni della cura e dell’educazione sono poco valorizzate nell’attuale sistema sociale. L’approssimazione con cui viene gestita la formazione universitaria che non si preoccupa del fatto che esiste una legge che prevede specifiche mansioni (fatto che dovrebbe automaticamente innescare un percorso di studi ad hoc funzionale e coerente). Ancora adesso il regolamento atteso sembra muoversi non sul piano, come sarebbe logico, di chiedere un percorso di studi comune su tutto il territorio nazionale, ma appare ostaggio delle lobby universitarie che tendono a costruire un variegato patchwork per completare orari e organici di cattedre già esistenti, attente ad altri scopi e interessi.
Ma forse esiste un problema più generale e a monte di ogni altra considerazione: a chi e quanto interessa lavorare con l’infanzia? Viene considerata una professione ormai legata al passato e poco attraente rispetto alle discipline STEM? E perché sono così rare anche le educatrici italiane con origini di altre etnie?
Qualcuno accetta di confrontarsi con noi e avviare un dialogo su questi temi?