Un profilo professionale per professioni dai profili incerti. Una proposta di legge e molte domande. Un tema di attualità che si interfaccia con le riforme attualmente in discussione.
intervista a on. Prof. Vanna Iori
di Ferruccio Cremaschi
Perché in questo momento dedicare attenzione alle professioni di educatore e di pedagogista?
Per tante ragioni. Innanzitutto perché da oltre vent’anni la professione di educatore e quella di pedagogista attendono di essere definite con criteri omogenei su tutto il territorio nazionale. In secondo luogo perché la storia della professione di educatore in particolare è penalizzata da una fragilità normativa e occupazionale. In terzo luogo per l’evidente necessità di potenziare il lavoro rivolto all’educazione in tutti gli ambiti in cui esso si espleta. Infine perché occorre che il titolo di educatore e di pedagogista siano equiparabili e coerenti con quelli degli altri paesi europei sulla base dell’EQF.
Il nostro osservatorio è molto sbilanciato sui servizi educativi per l’infanzia (nido d’infanzia, varie tipologie, scuola dell’infanzia). Nelle professioni in esame rientra anche quest’ambito di servizi e di operatori, come ci sembra dall’elencazione all’art. 4 della proposta?
Certamente. Rimane l’ambito privilegiato di occupazione. Ma non l’unico, poiché queste professioni si rivolgono anche a tutti i settori dell’educazione informale e non formale.
La nostra storia ha visto la figura dell’educatore professionale molto distante dai servizi educativi per l’infanzia. Si può pensare a percorsi formativi e percorsi professionali in dialogo?
Il dialogo tra tutte le professioni dell’educare, ovunque si svolgano, è necessario per il miglioramento dei servizi e per i bisogni che si sono fatti sempre più complessi e diffusi nella società dell’incertezza.
Uno degli obiettivi indicati è quello di adeguare la nostra normativa a quella europea adottando l’European qualifications framework. Quali potranno essere le ricadute pratiche?
La prima ricaduta, banalmente, sarà la possibilità per i laureati in Italia di vedersi riconosciuto il titolo anche all’estero, nel caso decidano di lavorare in un altro paese europeo. Cosa che oggi non avviene. E quindi anche di avere pari dignità professionale e opportunità occupazionale in virtù del riconoscimento di un sistema (EQF) di qualificazioni condivise e formalmente definite nei percorsi formativi.
Molte delle questioni emergenti in relazione alla ristrutturazione del sistema dei servizi 0-6 impattano la formazione universitaria. Con un po’ di cattiveria, saremmo portati a dire che in Italia la formazione universitaria è più condizionata dagli interessi (o dai vincoli) della singola Università, che da un chiaro disegno di intervento che punti alla valorizzazione e alla qualificazione dei processi e delle strutture educative. Che spazi ci sono per ridare centralità al progetto formativo professionale? In altre parole è pensabile che si possa avviare un processo di riflessione (con il Ministero in primis e) con le Università per rivedere la formazione universitaria definendo caratteristiche comuni tra i Corsi di laurea nelle varie Università superando le grandissime differenze oggi esistenti (che sembrano puntare alla formazione di figure tra di loro molto diverse) e investendo sulla professionalità di un educatore “psicopedagogo” e non generalmente culturalizzato? Mi riferisco al fatto dei molti insegnamenti di letteratura, estetica, filosofia che infarciscono molti Corsi senza una logica coerente con l’obiettivo finale. E spesso trascurando il focus sul bambino o sulla persone.
La mia proposta di legge ha l’obiettivo di normare una situazione che ha ricadute su più versanti e di porre fine ad una incertezza identitaria professionale e formativa. Il che significa che si devono indicare sia le facoltà universitarie preposte alla formazione, sia i contenuti formativi, sia gli ambiti occupazionali. Oggi in Italia si sconta il risultato si un percorso tortuoso, molto complesso, di norme stratificate e talora contradditorie, di una mancanza di riordino che dagli anni ottanta e novanta si è progressivamente complessificato con corsi regionali, e con l’anomalia tutta italiana della doppia laurea da Medicina e da Scienze della Formazione: una dicotomia, quest’ultima, che penalizza i laureati in SdF.
Per quanto riguarda le competenze, nell’art. 6, comma 2, sono indicate in primis le competenze in discipline pedagogiche, necessariamente in dialogo con le altre discipline che possono avere per oggetto l’educazione e i processi formativi. Nell’art. 7 si specifica che la classe di laurea 19, in coerenza con le conoscenze richieste dal QEQ, è la classe che forma queste figure professionali. Mi preme ricordare che vi è una precisa ragione epistemologica in questo primato delle conoscenze di carattere pedagogico. Ossia il fatto che l’area scientifica pedagogica è l’unica area che ha come oggetto specifico l’educazione. Mentre tutte le altre aree di sapere con cui la pedagogia è (e deve essere) in dialogo, si occupano “anche” di altri aspetti. Tant’è vero che occorre specificare “psicologia dell’educazione” o “sociologia dell’educazione”, laddove invece la pedagogia tout court si occupa dell’educazione.
Con le delega all’interno della legge 107, nel giro ormai di pochi mesi il Governo dovrebbe deliberare un progetto educativo “zerosei”. Quanto può contribuire questa proposta a rinvigorire il processo din una formazione di “educatori zerosei” superando la dicotomia attuale tra educatore di Nido e insegnante di Scuola dell’infanzia?
Le difficoltà, che ci sembra siano state finora sottovalutate, sono legate – tra le altre cose – alla diversa formazione degli educatori/insegnati nei due segmenti, all’evanescenza della figura professionale del coordinatore pedagogico che non risponde a un profilo professionale definito, alle diversità delle legislazioni regionali, e quindi al fatto che servizi che dipendono da Enti gestori diversi e tra loro autonomi, hanno indubbie difficoltà a sviluppare un ragionamento comune.
E come gestire la fase di transizione tra la situazione attuale e l’applicazione della nuova normativa che metterà in campo i nuovi profili professionali? Già si hanno segnali di attivismo da parte di alcune Università (periferiche) che hanno allo studio mirabolanti Corsi veloci che in un semestre portano al conseguimento della “nuova” laurea per sanare lo scarto tra il vecchio titolo (o la mancanza di titolo) e la nuova prospettiva.
Questa domanda, e le considerazioni che l’accompagnano, sulla delega al Governo relativamente allo 0-6 nell’ambito della legge 107 non coinvolge direttamente la mia Proposta di legge che indica con chiarezza due livelli, uno intermedio (sesto) cui è richiesta laurea triennale, e uno apicale (settimo) a cui è richiesta laurea magistrale. Preciso che per le classi di Laurea Magistrale si indicano le classi e non le denominazioni dei corsi che, com’è noto, comprendono una grande varietà di diciture.
Quanto alle “sanatorie” ho letto e ascoltato le ipotesi più fantasiose. Occorre quindi chiarire che questa legge, dal momento della sua entrata in vigore, richiederà per tutti la laurea specifica. Ma al tempo stesso occorrerà chiarire che la legge non ha valore retroattivo e pertanto chi ha già occupazione come educatore non dovrà temere di perdere il posto di lavoro. Infine occorrerà inserire una norma transitoria che preveda, per chi non è in possesso del titolo ma svolge attività educativa senza una stabilità occupazionale, che vengano riconosciuti, per esempio in sostituzione delle ore di tirocinio, le attività svolte, oppure che si attivino corsi temporanei ad hoc per conseguire il titolo. Certamente no ai mirabolanti corsi veloci che in sei mesi fanno conseguire il titolo di laurea. Tutto questo sarà oggetto della discussione nell’iter legislativo che inizia proprio oggi stesso. Avendo terminato le audizioni la scorsa settimana.
Quali possono essere, sul piano pratico, le conseguenze di questo scenario? Si intravedono ancora differenze locali che possono tradursi in disparità di proposte e questo non favorisce uno sviluppo equo del sistema dei servizi per l’infanzia in tutto il Paese. È possibile ovviare a questa eventualità?
Come ho detto sopra: norme omogenee e uniformi per tutto il Paese sono l’obiettivo primo di questa proposta, in conformità all’EQF.
In prospettiva si può pensare che questo sia solo l’inizio? In molti Paesi la formazione di educatori e pedagogisti è unitaria dalla culla alla tomba. Esiste cioè una generale preoccupazione di formare educatori che possano, nel corso della vita, con aggiornamenti leggeri, lavorare nel Nido o nella scuola superiore o nell’extra scuola con percorsi non necessariamente in progressione rigida, ma con la possibilità di cambiare ruolo in base alle competenze acquisite, al maturare dell’età, a un momento di stanchezza professionale. È una bella risposta al turn over, alla crescita delle competenze, alla soddisfazione personale. Solo un’utopia per l’Italia?
Credo anch’io che questo sia solo il primo passo. Ma è un passo indispensabile perché senza questo riconoscimento e uniformità di formazione, competenze, ambiti occupazionali, in conformità alle corrispondenti figure europee, non si esce dalla condizione di minorità formativa, occupazionale, retributiva, e anche scientifica. Una volta stabilita questa base ci si potrà muovere in direzione di ulteriori specifiche modifiche e miglioramenti. Ma l’importante, in questo momento, è approvare, possibilmente in tempi veloci, questo primo passo.
Vanna Iori
Roma, 11.11.205
Vanna Iori è nata a Poviglio nel 1948, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Pedagogia (Education) presso l’Università degli Studi di Bologna e dal 2003 è Professore ordinario presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano. Attualmente insegna “Pedagogia della comunicazione” e “Pedagogia della Famiglia” presso la sede di Piacenza.
Nel 1995 ha fondato l'”Osservatorio Famiglie” del comune di Reggio Emilia e ne ha mantenuto la direzione scientifica fino al 2010.
Alle elezioni politiche del 2013 viene eletta deputata della XVII Legislatura della Repubblica Italiana. È membro della II Commissione permanente (Giustizia) nonché della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza.