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Documentazione come osservazione

Chi si occupa di me pensa a me come a un essere pensante,
quindi io esisto come pensante.

(P. Fonagy e M. Target, 2001)

 

Introduzione

Nel primo articolo dedicato al piacere di documentare abbiamo considerato l’azione documentale come la capacità di attribuire significato al quotidiano della scuola e del nido. La soddisfazione di scoprire valore nelle azioni di ogni giorno e il piacere tutto umano di pensare, ci possono accompagnare in questa pratica così diffusa, ma a volte ridotta a semplice rendicontazione o a raccolta poco ragionata di fotografie.

Abbiamo indicato nella dimensione rappresentativa della qualità pedagogica, quindi nella comunicazione di idee, piuttosto che in quella dimostrativa e quantitativa dell’elencazione di attività e comportamenti, la forza e il senso della costruzione di materiali di sintesi.

Questo secondo articolo propone alcuni ragionamenti in merito ad una componente cruciale che entra in gioco e che ha a che fare con la posizione fisica e mentale di chi lavora nei contesi dell’educazione: l’osservazione.

 

Osservare perché?

È esperienza condivisa la percezione di quanto il corpo e la mente di chi entra in relazione con i bambini siano fortemente implicati. Sul piano fisico ed emotivo i vissuti degli adulti, immersi nel movimento relazionale di rapporto con l’insieme dei bambini e con ciascuno di loro, comportano la necessità di stare in equilibrio. Grazie alla nostra funzione mentale adulta abbiamo la capacità di bonificare le perturbazioni che l’emotività produce e di leggere il senso di ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi attraverso ipotesi che tengano insieme, narrino storie possibili ed evitino la frammentazione (M. Francesconi e D. Scotto di Fasano, 2009). Per questo la documentazione si presenta come narrazione: un’esposizione creatrice di identità.

Sul piano razionale e logico il lavoro educativo e l’insegnamento richiedono un costante riassetto delle proposte, la lettura delle capacità messe in campo, una rielaborazione continua di spazi, materiali e dialoghi affinché il percorso in atto si dipani mantenendo un proprio ordine interno, una motivazione funzionale, una costante possibilità di ulteriore sviluppo. In sostanza è il filo di senso tenuto dall’adulto attraverso l’osservazione ciò che permette di restituire al gruppo i rilanci utili affinché le ipotesi prendano forma e parole e approdino a provvisori punti d’arrivo per progredire in seguito verso ulteriori evoluzioni. Sono questi i contenuti che una documentazione pedagogica dovrebbe offrire per poter essere opportunità di coinvolgimento educativo e ragionamento condiviso.

In un paesaggio così dinamico e così complesso com’è quello di un gruppo di bambini che stanno crescendo, uno sguardo generale a ciò che accade non basta, è osservando con attenzione che potremo cogliere i numerosi elementi di interesse utili a comprendere e spesso a scoprire ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi.

Sembra strano, ma a volte capita di guardare le azioni dei bambini senza trovare il filo del gioco, il senso dei comportamenti e di provare la grande fatica di non riuscire a comprendere, pur vedendolo, il corso degli eventi. Sono frequenti le situazioni in cui siamo presi da aspetti concreti e contingenti, pratici e superficiali, che non riescono a restituirci valore e piacere.

Per questo osservare è così importante, perché grazie alla capacità di stare sul reale mantenendoci sospesi tra il mondo adulto e il mondo infantile (R. Dalla Stella, 2009), mettendo in contatto ciò che guardiamo con domande, ipotesi, questioni aperte, possiamo far luce sulle caratteristiche peculiari di ogni situazione e accompagnare con l’ascolto un gruppo di bambini in azione. La documentazione, nella sua più profonda essenza, permette di entrare in queste dimensioni e di portare alla luce contenuti significativi, coinvolgenti anche a distanza di tempo e in contesti diversi da quelli originari.

 

Come osservare per documentare?

Posto che un solo sguardo non sia sufficiente, consideriamo ora come si possa osservare in relazione al documentare. Spesso l’attività osservativa viene vissuta come un esercizio, un difficile compito formale da eseguire, a volte essa viene proposta per necessità particolari di analisi in casi di specifiche difficoltà.

In realtà le prospettive considerate rischiano di far perdere all’osservazione proprio il suo potere più forte e, con esso, il suo lato piacevole, positivo e costruttivo. Pensiamo piuttosto a questa pratica come a un mezzo per migliorare il nostro livello di attenzione, di ascolto e le nostre capacità di scoperta all’interno delle esperienze, come strumento per formulare spiegazioni e per rendere comprensibili i fenomeni attraverso la loro analisi. In quest’ottica possiamo farla diventare una preziosa compagna di viaggio, che troverà proprio nella documentazione il suo posto e la possibilità di esprimere il proprio valore grazie alle nostre parole.

A questo punto dobbiamo prendere in considerazione un importante aspetto, che riguarda la posizione dell’educatore, di cui lo strumento osservativo può diventare prezioso alleato. Quando osserviamo abbiamo la necessità di porci alla giusta distanza. Per un verso la nostra posizione, che è al contempo fisica e mentale, richiede di essere abbastanza interna al processo che si sta svolgendo per poterne cogliere le sfumature emotive e logiche, per poter essere testimoni partecipi delle esplorazioni e delle scoperte, degli insight e delle soste, delle delusioni e delle soddisfazioni. Se però siamo troppo coinvolti rischiamo di non riuscire a sostenere i bambini con la funzione della mente pensante adulta e di non cogliere i passaggi unici, originali e profondi nel dipanarsi degli accadimenti.

Per un altro verso ci dovremo porre al di fuori quanto basta e quanto serve per poter dare parole a ciò che accade, per poter cogliere al contempo l’insieme e i dettagli, per mantenere l’asimmetria relazionale necessaria alla funzione educativa. Se restassimo troppo distanti rischieremmo di cogliere solamente gli aspetti procedurali, la cronaca degli avvenimenti, sequenze di atti che rimarrebbero banali, freddi e difficilmente significativi.

 

 

 

Un ragionamento sul come osservare coinvolge le questioni legate agli strumenti e alle modalità osservative utilizzate per raccogliere i dati: osservazione diretta? Scritta? Griglie?

Mantenendo nell’ambito della documentazione qui considerato il nostro ragionamento, non entreremo nell’ampio dibattito dei metodi e delle modalità osservative in campo educativo e scolastico, considerando peraltro imprescindibile una formazione accurata in questo campo.

Osservare coltivando la giusta distanza e la sospensione del giudizio, trasformando in parole, e dunque descrivendoli con un scrittura sintetica, ma autentica, i processi in corso, traducendo in immagini i passaggi più espressivi, può essere il modo migliore per offrire allo sguardo di altri ciò che secondo noi accade di interessante, unico e significativo all’interno dei nostri contesti.

L’osservazione attenta permette di scattare e poi offrire fotografie di qualità, in cui l’occhio non si confonda, ma venga accompagnato a cogliere il “cosa succede” nel suo respiro educativo e nella sua forza evolutiva. L’osservazione partecipe permette di scrivere didascalie capaci di restituire gli aspetti essenziali delle esperienze accompagnati dalle sfumature capaci di riportarci a quei momenti, grazie ai dettagli di clima, di dinamica di gruppo, di dialogo e scambio, indispensabili per cogliere oltre la superficie il formarsi della socialità e della conoscenza.

Quando si documenta attraverso un’attenta osservazione, un ascolto attivo e un lavoro di immagini e scrittura si riescono a comporre resoconti che presentano sapienti equilibri tra brevi descrizioni, frasi dei bambini e riflessioni. Materiali così composti e selezionati possono essere letti tante volte, perché ricchi di contenuto e in grado di aprire gli sguardi anche all’auto osservazione.

 

Il piacere di ritrovarsi, rivedersi, auto osservarsi

Ritrovare sui pannelli di documentazione collocati negli spazi interni dei servizi e delle scuole o nei fascicoli di sintesi, o ancora nei portfolio o nelle storie di apprendimento le tracce dei percorsi vissuti, attiva il piacere di riconoscersi. È qui che la documentazione assolve ad un suo compito vitale e generativo: il ritrovarsi permette a bambini e adulti di percepire il senso delle esperienze, delle relazioni e delle scoperte, restituisce la qualità dei cambiamenti, l’allegria della condivisione.

Ed è in questo gioco di sguardi e di riflessi che possiamo comprendere la prospettiva della frase citata di P. Fonagy e M. Target: il bambino, anche se molto piccolo, comprende e intuisce il nostro modo di guardare e da esso coglie tanto il valore della sua esistenza, quanto le sue stesse capacità mentali.

La documentazione offre ai bambini la possibilità di auto osservarsi nelle proprie storie narrate dagli adulti attraverso fotografie e parole e gli adulti stessi avranno modo di scoprire parti di sé all’interno dei materiali prodotti.

L’intersoggettività permette di interpretare in modo plausibile comportamenti e interazioni, attivando commenti e approfondimenti, condivisioni e cooperazioni nella negoziazione dei significati.

Nel pannello realizzato presso il nido Incantatempo di Gorizia troviamo un possibile esempio.

 

Che cosa osservare?

In merito alla scelta dei contenuti dell’osservazione va detto che essi determinano in modo importante la nostra prospettiva e il nostro punto di vista. Poiché infatti non è possibile osservare indiscriminatamente ogni cosa, sarà fondamentale operare in modo che la nostra attenzione e la documentazione che ne deriva abbiano alle spalle un progetto. Non si intende con questo stabilire a priori ciò che accadrà, né tantomeno i contenuti delle nostre immagini e scritture, si considera piuttosto la necessità di porsi alcune questioni e ipotesi e declinare queste piste nel qui ed ora delle diverse situazioni con i bambini.

Ad esempio, potremmo voler esplorare le opportunità offerte da uno spazio, magari per capire se la sua organizzazione sia funzionale, oppure perché abbiamo dei dubbi in merito al suo utilizzo, o anche per raccontarne la trasformazione con il gioco dei bambini nel corso del tempo. È allora opportuno focalizzare lì il nostro sguardo, formulare alcune domande che fungano da guida e decidere di raccontare proprio quella storia, individuandone i protagonisti e gli elementi salienti, andando a selezionare le modalità d’uso e le ipotesi pensate e proposte dagli adulti come pure quelle messe concretamente in atto dai bambini nel corso di un certo periodo di tempo. Le fotografie ci aiuteranno a mostrare i diversi movimenti e stili personali dei partecipanti, la scrittura renderà conto delle interazioni che si saranno manifestate alla nostra presenza. Sembra già di poter immaginare le sequenze, anche se non possiamo vedere prima che cosa avverrà, né quanti passaggi ci saranno, né chi entrerà nelle scene. Si tratta però di una cornice, un setting mentale affinché l’osservazione abbia un suo perimetro, che non può essere troppo vasto, pena la perdita di dettaglio.

Va inteso che le categorie e le domande cambiano a seconda degli interessi educativi e dei temi scelti per l’osservazione. Nell’esempio riportato accanto troviamo parte di un lavoro osservativo che aveva lo scopo di descrivere il tipo di relazioni messe in atto nell’officina dei colori all’interno del Centro per Bambini e Famiglie Millegru di Ferrara.

 

Il piacere nella contemplazione

Cogliere le dimensioni pedagogiche e personali nel gioco dei bambini e restituirle attraverso il lavoro di documentazione richiede tempo, pazienza, attenzione e cura.

Un prodotto documentale finito è ogni volta una piccola impresa, che richiede e tiene insieme molte competenze, perché è il dosaggio degli aspetti di contenuto e di forma, di estetica e di grafica, di uso della composizione delle immagini e dei vari registri della lingua, che ne determina la buona riuscita comunicativa.

L’impegno richiesto può essere tanto, ma l’esperienza ci dice che verrà certamente ripagato attraverso il piacere della contemplazione, intesa come opportunità di fermarsi ad ammirare e a provare meraviglia da parte di adulti e bambini.

 

Il piacere di prendersi cura del sé professionale

Un altro aspetto positivo della pratica documentale messo in campo attraverso l’attività osservativa consiste nel riuscire a percepire la vitalità della propria professione educativa, trovando appagamento nel renderla esplicita e comunicabile, nel dare forma e valore ad una dimensione fondamentale del Sé.

Attraverso la documentazione aiuteremo i nostri interlocutori ad osservare a loro volta, accompagnandoli in percorsi che, condivisi, si riveleranno probabilmente ricchi di sorprese.

La riflessione attraverso la documentazione in contesti collegiali e socializzati si rivelerà carica di potenzialità e possibilità tanto di scoperta, quanto di restituzione e gratitudine.

 

 

Bibliografia

Dalla Stella R. (2009), Scene educative nell’asilo nido, Ma.Gi.

Francesconi M., Scotto di Fasano D. (a cura di) (2009), Apprendere dal bambino, Borla.

Fonagy P., Target M. (2001), Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina.

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