Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate.
Diane Arbus
Introduzione
Inizia con questo articolo una serie di contributi attraverso i quali si intende proporre un percorso per la documentazione del senso che hanno le azioni messe in atto nei contesti educativi. Nella nostra ricognizione avrà un ruolo fondamentale la dimensione pedagogica. Riuscire in questo compito professionale permetterà a ciascuno rispetto a sé e alle équipe rispetto al mandato per cui operano, di vivere in modo positivo ciò che intorno alla documentazione si muove.
Provare piacere e motivazione al lavoro è un’alchimia complessa, che si compone tanto dei vissuti quotidiani, quanto dell’immaginazione, delle opportunità continue di scoperte e condivisioni, degli apprendimenti messi in moto dalle esperienze e, non ultime, delle capacità di contemplazione e gratitudine.
Dall’azione alla rappresentazione dell’azione
Sappiamo bene quanto il fare rappresenti la cifra dei luoghi in cui i bambini apprendono vivendo. Non a caso il fulcro intorno al quale ruotano le giornate vengono definite molto spesso “attività”, oppure “laboratori”, o “esperienze”, in sostanza azioni, a volte ripetute, a volte programmate, altre volte ancora impreviste ed estemporanee. Il che cosa hai fatto/avete fatto? è la domanda più frequente, che ci si aspetta di ricevere, il che cosa abbiamo fatto! la più diffusa risposta.
La concretezza dei rimandi è comprensibilmente spesso considerata la “misura” della qualità della giornata dei bambini: se hanno fatto molto allora molti sono stati gli stimoli, le proposte, le sollecitazioni e, allora, forse, anche gli apprendimenti e i salti di crescita che tutti aspettano, che ogni adulto desidera.
Ma come possiamo restituire il significato della laboriosità, del movimento e dell’esplorazione continui? Come possiamo cogliere noi per primi – e permettere poi di cogliere a chi nei vari momenti non c’era – il valore più profondo, dal punto di vista educativo, di accadimenti che, se non vengono collocati in una cornice di senso, rischiano a volte di risultare poco comprensibili nelle loro valenze o essere interpretati come banali o ancora rispondere soltanto ad una coazione ad agire per riempire il tempo saturando la possibilità di pensare? Non è una questione di poco conto.
Si tratta di comporre in un buon equilibrio le proposte e l’ascolto, il pieno e il vuoto, la riconoscibilità e la novità, la prevedibilità e la creatività in educazione.
Spesso alla formazione si chiede di portare qualcosa di nuovo: iniziative da realizzare o argomenti originali di cui parlare, come risposta a sensazioni di routinarietà, di mancanza di ideazione, al bisogno di stimoli, corrispondenti frequentemente alla perdita di consapevolezza rispetto a ciò che si sta già mettendo in atto. Se la documentazione riesce a riorganizzare gli accadimenti in composizioni intellegibili, la sua capacità di rappresentare, di costituire visioni e storie coerenti e significative, può restituire ad adulti e bambini il senso del loro fare. Rappresentare le azioni permette di porre in relazione la concretezza delle esperienze con i sistemi simbolici attraverso l’esplicitazione dell’implicito, integrando attualità, idee, prospettive future e consentendo il ragionamento a più voci.
Il contesto in cui la documentazione nasce e attinge motivo d’essere
Il lavoro di chi insegna è caratterizzato da un’imponente quantità di decisioni da prendere continuamente, è questo uno degli aspetti più intriganti e al contempo più faticosi: che cosa faremo oggi? Che cosa succederà nel corso delle 8 ore?
La pianificazione delle attività cerca di rispondere alla questione seguendo diverse declinazioni. Si va da un massimo di strutturazione, come può essere la programmazione che persegue obiettivi specifici con compiti precisi (si pensi alle attività che vengono predisposte affinché i bambini realizzino manufatti di diverso genere) o l’utilizzo di materiali strutturati in progressione (si pensi alle proposte di tipo montessoriano). Possiamo trovare forme più flessibili di progettazione, come la predisposizione di spazi tematici, ad esempio nei laboratori e negli angoli la cui destinazione risulta leggibile e funzionale ad attività definite, proposte a rotazione o a scelta, come la pittura, la manipolazione, i travasi, le costruzioni, o ancora la realizzazione di progetti: ricerche ed esplorazioni nell’ambiente, allestimenti di costruzioni complesse come composizioni, installazioni, storie, libri, drammatizzazioni.
Il minimo di strutturazione consiste nel cogliere costantemente le tracce dei bambini per costruire di volta in volta spazi, percorsi e materiali a seconda degli interessi, prevalentemente in risposta alle domande che sorgono nel quotidiano: Da dove viene? Come si fa? Come funziona? Chi fa? Come possiamo fare per? Sai che? Perché? Facciamo?
Indipendentemente dalle modalità progettuali scelte, la riflessione profonda rispetto all’efficacia delle azioni e dei percorsi effettuati al nido e alla scuola d’infanzia rimangono spesso private, invisibili e vissute in solitudine.
Come è riuscita bene questa giornata! La proposta di oggi ha funzionato! Ci son venute in mente alcune idee. Ma … Perché è andata bene? Che cosa ha interessato di più i bambini? Che cosa possiamo capire rispetto al loro punto di sviluppo? Qual è stato il momento in cui si sono concentrati o attivati di più? E perché? O … Perché ci siamo stancate così tanto? O ancora … Perché non siamo soddisfatte? Che cosa non ha funzionato? Come avremmo potuto fare per? Avremmo potuto agire diversamente? Concordiamo sulle letture date ai vari passaggi?
Queste e molte altre sono le questioni che rimangono a vagare nella mente dei singoli e dei gruppi educativi, a volte per più tempo, altre volte scalzate subito dai pensieri del giorno successivo. La documentazione attinge in questo complesso panorama della pratica il suo profondo motivo d’essere.
Rappresenta un possibilità di risposta alla necessità di confrontarsi intorno a dubbi e domande. Può essere una preziosa opportunità per raccontare com’è il lavoro quotidiano attraversando le sfumature nel corso del suo svolgersi. Permette di esprimersi attraverso diversi linguaggi risultando un atto fortemente creativo.
Le forme di documentazione più diffuse
Prendiamo qui in considerazione quelle forme di documentazione che più frequentemente si incontrano negli spazi interni ai servizi: appese alle pareti, esposte sulle porte delle sezioni, a disposizione di chi entra. Non sempre corrispondono alle prospettive appena evidenziate. Talvolta sono le stesse educatrici e maestre a non essere soddisfatte delle modalità adottate, sentendosi però in difficoltà all’idea di migliorare quello che appare come un faticoso aggravio al già molto impegnativo lavoro con i bambini.
Possiamo trovare una documentazione di tipo scritto nei resoconti giornalieri redatti sotto forma di cronaca:
Oggi abbiamo manipolato la farina, abbiamo fatto molti esperimenti con i travasi usando bicchieri e cucchiai, ci siamo molto divertiti! Poi ci siamo lavati le mani e siamo andati a giocare in giardino.
Un’altra modalità utilizzata prevede che si inseriscano in una tabella alcune frasi che collegano le azioni a giudizi complessivi:
Attività: collage con le foglie.
Esito: è molto piaciuto, quasi tutti i bambini hanno composto delle figure.
Note particolari: Ivan all’inizio non voleva toccare niente che fosse appiccicoso, ma poi ha incollato anche lui.
L’altra forma molto diffusa di documentazione è per immagini. In essa di solito prevale la cura nel restituire la quantità delle proposte rivolte ai bambini, per cui le fotografie sembrano un elenco di azioni compiute da ciascuno in una sequenza che si ripete. Ho in mente quei cartelloni in cui tante foto della stessa dimensione mostrano i bambini alle prese, per esempio, con la pittura verticale. Troviamo allora, sotto al titolo che sembra uno slogan – Siamo tutti pittori! – ciascun bambino immortalato con foglio e pennelli.
Altre volte le fotografie rendono conto dell’eccezionalità di alcuni momenti (come le feste, la gita alla fattoria o l’incontro con i vigili), in questo caso lo scopo delle immagini è quello di fornire un ricordo, con l’implicita necessità di testimoniare la specialità di quella giornata e la presenza di tutti i bambini (per rispondere alla domanda del genitore: dov’è il mio?) e di comporre una sorta di album per ogni partecipante.
Così a fine anno la piccola Paola avrà il ricordo di carnevale, la sua foto mentre usa i colori, quella vicino alla capretta della fattoria, quella mentre manipola la farina e quella con il vigile in divisa.
Questo rapido quadro d’insieme ci serve come premessa e ha lo scopo di ricostruire, seppure per rapidi e grossolani passaggi, una generale ricognizione iniziale.
Quando la Documentazione è pedagogica
Consapevoli della complessità entro la quale il tema si colloca veniamo ora ad un punto cruciale: la dimensione pedagogica della documentazione.
L’archiviazione, così come la raccolta di foto o la cronaca in quanto elenco di avvenimenti e azioni, pur comprendendo materiali utili alla ricostruzione e al ricordo non possono essere considerati documentazione pedagogica.
Una documentazione può considerarsi tale nella misura in cui si inscrive come progetto di senso all’interno del percorso educativo e didattico di un gruppo.
Per progetto di senso si intende una selezione concettuale che comprende:
- un’intenzionalità forte di scelte consapevoli;
- una visione in profondità che possa far emergere aspetti autentici e cruciali all’interno dei processi;
- una sistematicità che permetta di sostenere per tappe progressive un viaggio di ricerca all’interno di ciò che accade nel corso delle esperienze vissute da bambini e adulti a scuola e al nido.
Il titolo rispecchierà le prospettive assunte, per esempio: Quando i bambini incontrano i colori, oppure Dipingendo, oppure ancora Nell’atto del dipingere. Delle didascalie ci occuperemo nei prossimi articoli.
Ci vuole, dunque, metodo. Sintetizziamo qui una serie di domande strategiche che vale la pena porsi fin dall’inizio: quale piano di documentazione vogliamo mettere in atto? Quali aspetti vogliamo indagare? Quali strategie di osservazione utilizzeremo? Quali strumenti potranno servirci? Che cosa sarà meglio escludere? Come vogliamo presentare questo lavoro? Calendarizziamo i passaggi cruciali?
Una volta chiariti i punti fondamentali del piano d’azione sarà molto, ma molto più facile sia individuare che cosa descrivere e raccogliere, sia costruire i prodotti documentali, come pannelli, fascicoli, portfolio o prodotti multimediali.
La dimensione pedagogica emerge inoltre dalla progressività della documentazione, vale a dire che produce qualità educativa il fatto che i materiali non vengano predisposti in una sola volta, o una volta per tutte e isolatamente, bensì prendano forma e sostanza strada facendo, incrementandosi e sviluppandosi nel tempo, a tappe, con soste e riprese, in modo tale da poter essere utilizzati numerose volte e da diversi soggetti nel corso dell’anno e del tempo.
Un’altra componente importante è costituita dalla dimensione interattiva. Così come si è in molti a gravitare intorno ai bambini e così come la comunicazione o è concepita come circolare o non può essere efficace, altrettanto gli elementi che entrano a far parte della documentazione è fondamentale che passino da una mano all’altra, da un pensiero ad un altro, attraverso più interlocutori. Sarà grazie al gioco dei feedback che la comprensione reciproca troverà lo spazio per realizzarsi. Avremo in questo modo composizioni a più voci, che costituiranno una visione con diversi punti di vista e permetteranno ai ragionamenti di moltiplicarsi e ai significati di essere costruiti. Ho in mente, ad esempio, quei pannelli in cui, accanto alle fotografie e alle didascalie scritte dalle maestre compaiono le frasi scritte dai genitori e i foglietti con le considerazioni proposte dai bambini in un intreccio tale per cui le immagini esposte sembrano ampliarsi di significato ad ogni più attenta osservazione.
Il piacere di riscoprire il valore del quotidiano
E veniamo alle dimensioni piacevoli che una documentazione concepita come una sintesi di valore è in grado di alimentare. Innanzitutto riuscire a rendere visibile la profondità della regia educativa, come pure il significato attribuito e le interpretazioni plausibili facendo emergere l’intensità del lavoro quotidiano, l’unicità delle interazioni, l’originalità dei bambini, l’immaginifica atmosfera di esplorazioni, invenzioni e ragionamenti permette di riscoprire costantemente la ricchezza portata dall’impegno di ogni giorno.
Bandura (2000) colloca nel senso di autoefficacia quella fiducia rispetto alle proprie capacità che permette di provare soddisfazione da ciò che si compie, di affrontare con entusiasmo il lavoro, pur con le sue incertezze e difficoltà, riconoscendone il potenziale di emozioni positive.
In contesti in cui gli apprendimenti non hanno canali univoci ed espliciti di manifestazione, ma producono il più delle volte effetti a lungo termine e a largo raggio, spesso al di fuori dell’atteso e del desiderato, una documentazione efficace permette di cogliere quanto preziosa possa essere una funzione adulta attenta e partecipe.
Il piacere di pensare
Il fatto che i pensieri possano prendere forma, attraverso immagini e parole, restituisce agli adulti il piacere di percepire la dimensione fortemente culturale della propria professione. Nel corso delle azioni nella quotidianità è lo sguardo esperto di chi si assume la responsabilità educativa che permette di vedere le dimensioni significative e la bellezza dei processi mentre percorrono strade sempre nuove.
Le mille forme del pensiero di bambini e adulti capaci di rivisitare, reinventandoli, i nodi, gli incroci, i panorami delle ricerche e delle scoperte rende sperimentale ogni momento educativo. All’interno di questa ricerca continua le diverse voci danno tridimensionalità e unicità ad ogni passaggio. Pensano i bambini pensieri bambini, accorgendosi che viene loro attribuita una prerogativa sostanziale: sono loro i protagonisti, nessuno meglio di loro sa e capisce quel che avviene all’interno di una sequenza di azioni. Il pensiero può diventare parola e nei dialoghi i pensieri hanno l’opportunità di espandersi. Pensano gli adulti pensieri adulti, composti di questioni sempre aperte, di sospensioni di giudizio e di nuove piste di approfondimento.
Riflettere costituisce il ponte tra dimensione cognitiva ed emotiva, mette in moto i pensieri e le associazioni di idee, producendo benessere mentale grazie all’integrazione di tutti gli elementi in gioco (Fonagy e Target, 2001).
Una proposta per concludere
Non sono solo questi gli aspetti piacevoli della pratica documentale, avremo ancora modo di approfondirne i pregi.
Per ora proviamo a scegliere una fotografia a nostro parere particolarmente significativa e confrontiamoci in gruppo con i colleghi, con i genitori e anche con i bambini. Alla luce della frase di Diane Arbus che cosa riusciamo a vedere?
Bibliografia
A. Bandura (2000), Autoefficacia, trad.it, Trento, Erickson.
Fonagy e M. Target (2001), Attaccamento e funzione riflessiva, trad.it, RaffaelloCortina.
Sontang (1978), Sulla Fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, trad.it, Einaudi.