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Documentare: spazi e tempi

Antico stagno.
Una rana si tuffa:
suono d’acqua.

Bosho, 1686

 

Fiume d’estate.
Che piacere attraversarlo.
Sandali in mano.

Yosa Buson, 1783

 

Premessa

La documentazione è un gioco di dettagli e sfumature, che richiede di stare in ascolto e in osservazione nello spazio e nel tempo degli ambienti educativi, di essere presenti mentalmente nei momenti della realtà in atto, nel fluire dei processi che si snodano e prendono forma. Documentare è un modo di porsi, un atteggiamento interno, una disposizione ad apprendere da quell’esperienza che, adulti e bambini, viviamo nel suo svolgersi.

Scrivere e fotografare, raccogliere i pensieri agganciandoli al reale con descrizioni delle azioni osservate nel corso del lavoro quotidiano, ritrovando i passaggi sensorialmente coinvolgenti e comprensibili, ponendo in rilievo il ritmo delle interazioni e degli scambi, permette di formulare ipotesi dal significato profondo, che appagano il desiderio di senso e di riconoscibilità della professione educativa e quello di valore del gioco e dell’esplorazione dei bambini.

Nei precedenti articoli il perché, il che cosa e il come della documentazione hanno guidato il nostro discorso affinché l’approccio al tema assumesse principalmente un significato sociale e co-costruttivo all’interno del panorama complesso delle progettualità nel nido e nella scuola dell’infanzia.

Il dove e il quando possono ora aggiungere ulteriori elementi di riflessione e di ideazione, assumendo, nell’inedito momento attuale, ulteriore importanza e nuove declinazioni.

 

 

Documentazione nello spazio. Lo spazio della documentazione

In un testo intitolato La dimensione nascosta l’antropologo Edward Hall (1968) descrive l’utilizzo dello spazio da parte degli umani in una prospettiva culturale, coniando il termine prossemica e rivelandoci una verità di cui spesso siamo inconsapevoli: lo spazio è un sistema comunicativo. L’ingresso nei luoghi in cui si mette in atto la cultura dell’infanzia è dunque, tra le altre, anche un’esperienza comunicativa: i concetti di curricolo implicito e di regia educativa, di metodi didattici e di visione educativa emergono come manifesti dai luoghi che si incontrano e che si percorrono.

In merito alla documentazione, che ha implicita in sé una funzione comunicativa, possiamo allora porre alcune questioni, iniziando col metterci nei panni di un genitore e di un bambino al loro primo ingresso in una struttura.

L’accesso avviene attraversando zone di confine, le quali si presentano raramente come luoghi “parlanti”. Il cancello, il portone, la ringhiera, il muretto sono quegli strani spazi che si trovano “tra”, che sembrano esistere solo per essere attraversati e che “mettendo in contatto separano, o, forse, separando mettono in contatto” (P. Zanini, 1997).

Gli spazi esterni come le facciate, le colonne, gli alberi, talvolta vengono abitati da immagini come murales e decori, raramente da scritture.

Gli spazi interni sono certamente i più utilizzati per esporre documentazione: dall’atrio al corridoio, dal salone all’aula, questi ambienti presentano una sorta di “pelle interna” che lascia trapelare, nel tempo, frammenti di quotidianità, immagini composte con scritture che vogliono raccontare e rendere visibili momenti ritenuti salienti, intenzioni educative, progetti speciali, che desiderano attirare l’attenzione e proporre una pausa per guardare, leggere, osservare, riflettere, comprendere.

Nell’ideare un’organizzazione di questi spazi immaginiamo ora un piano sequenza che segua genitore e bambino lungo il tragitto che dalla strada li accompagna in sezione. Che cosa vedono dai loro diversi punti di vista? In quali aree compaiono i primi materiali documentali? Sono disseminati in più punti lungo il cammino o sono limitati ad un’unica area? Si trovano collocati sia all’esterno che all’interno? Esiste una logica o una progressione delle diverse produzioni e il loro ordine di comparsa? A quale altezza di sguardo si trovano?

Considerato in questo modo lo spazio assume quasi una struttura teatrale, in un succedersi di quinte; se così fosse potremmo immaginare la collocazione della documentazione come fosse uno storyboard da poter seguire ad ogni ingresso, una mappa con delle stazioni di sosta. Sarà abbastanza facile allora strutturare con un criterio funzionale gli spazi e renderli interessanti ed attraenti grazie a indicazioni precise date dai titoli, utilizzando anche cavalletti mobili e frecce per segnalare cambiamenti e novità. Le produzioni non verranno collocate a caso, dunque, ma immaginando di volta in volta itinerari di senso, appuntamenti periodici, che potrebbero cominciare proprio dal confine.

Oltre agli spazi fisici vanno considerati gli spazi virtuali, quelli dei social e del web, anch’essi sottoposti al rischio di corrispondere a metaforiche “strade di scorrimento veloce” e alla definizione di nonluoghi in quanto vie per la “circolazione accelerata” (Augè, 1992), nel nostro caso di foto, disegni, parole. Tali spazi richiedono, ancor di più rispetto a quelli fisici, una progettualità attenta e ponderata, in grado di incorniciare ciascuna immagine in modo da restituirne significati autentici e contestualizzati.

Un’attenzione specifica va posta in questo caso proprio al cambio di senso nel cambio di contesto prodotto dalla rete a seguito dell’esposizione dalla sfera privata a quella pubblica. Sostanziali infine sono gli spazi mentali: fare spazio al pensiero e al piacere, trovare lo spazio per un contatto con se stessi, col proprio mondo interno. Condividere lo spazio tra più menti diverse per una pratica riflessiva capace di creare comunità di intenti e condivisione costituisce esperienze formative estendibili a gruppi di adulti implicati nel senso dell’educare.

 

 

Il tempo della documentazione. Documentazione nel tempo

Il tempo per la documentazione è un tempo pieno, che non si caratterizza per un contenuto dato a priori, ma per la capacità di contenere ciò che accade strada facendo, favorendo la costruzione di pensieri e memorie individuali e collettive (F. Mazzoli, 2006, p.23).

Partendo da questa affermazione possiamo comprendere quanto sia importante dare tempo alla documentazione di prendere forma, una forma progressiva capace di prendere senso attraverso feedback costanti, rilanci, riflessi. Il tempo che ci vuole è una quantità fluida e flessibile, che non risponde a un calendario prestabilito di scadenze che si replicano di anno in anno. Si tratta piuttosto di un tempo dettato dal pensiero e dell’azione che, insieme, trovano i loro equilibri attraversando le esperienze. A volte la sistematicità, dunque l’ordine e la previsione, sono utili per tenere il filo, per contenere in una cornice l’evoluzione di un progetto, di una serie di osservazioni, di una costruzione, di una storia in atto. A volte è invece la casualità e l’estemporaneità che ci permettono la scoperta e l’invenzione. Ciò che conta è che sia dato il tempo alle esperienze di svolgersi fino in fondo e alle novità di riuscire a portare cambiamento.

Rimane importante che la giornata, così come la settimana e il mese, portino con sé un valore intrinseco di ritmo e di scansione del tempo che, diaristicamente, possa essere reso visibile e dunque documentato. Datare le documentazioni è fondamentale per poter ricostruire i passaggi e gli snodi sui quali portare attenzione e riflessione.

Inoltre comporre di volta in volta in fascicoli ciò che viene raccolto, in modo che nel corso delle stagioni si formi una vera e propria biblioteca di documentazioni di agile e costante consultazione, costituirà una ricchezza collettiva in continuo incremento.

Prendersi un tempo per riflettere nel mentre e dopo aver costruito, per ideare e immaginare, per ritrovarsi a distanza di tempo, per ascoltare diverse letture e interpretazioni, per incontrarsi e ascoltare diversi interlocutori e punti di vista, può essere lo stile con cui si decide il quando della documentazione.

Possiamo immaginare un tempo per incontrarsi tra docenti, tra insegnanti e genitori, tra bambini, tra insegnanti e bambini, tra genitori e bambini, quando la documentazione viene portata a casa, quando passa di mano in mano, se diventa lettura collettiva.

 

Documentare durante e sul confine

La documentazione non è detto che debba rimanere all’interno dei contesti in cui viene prodotta e neppure che possa uscire soltanto a fine anno. Proviamo a realizzare documentazioni progressive, snelle e dinamiche che possano stare “sul confine”, affinché i messaggi e le immagini che si mostrano possano essere più coinvolgenti e propositive in senso lato, capaci di incontrare il territorio, interagire e porsi in dialogo con diversi interlocutori, pronte a viaggiare tra il dentro e il fuori.

Spesso le aree di passaggio si presentano come zone anonime e senza caratteristiche proprie che raccontino la vitalità degli ambienti che proteggono. Se proviamo ad allargare lo sguardo possiamo considerare gli ambienti educativi come parte integrante della complessa realtà culturale che a tutti appartiene e a cui tutti apparteniamo, perciò potrebbero a pieno titolo avviare un dialogo con chi si trovi a passare loro davanti. Da qui l’idea nata in tempo di pandemia (vedi Zeroseiup Facebook, 13 giugno 2020) di un filo appeso alla ringhiera, al cancello, al portone dei nostri nidi e delle nostre scuole, forte e ricca metafora per rappresentare i legami, ma anche strumento concreto sul quale appendere nei prossimi mesi le tracce di ciò che accade “dentro”.

Speriamo che in tanti, mentre attraversano con i sandali in mano, provino piacere e possano sentire il suono dell’acqua

 

Riferimenti bibliografici

  • Augè M. (1992) Nonluoghi, trad.it, Eleuthera.
  • Hall E. (1968) La dimensione nascosta, trad.it. Bompiani.
  • Mazzoli F. (1996) Dire, fare, documentare, in: Comune di Argenta, Faredocumentare n.7.
  • Zanini P. (1997) Significati del confine, Bruno Mondadori.

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