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Da dove si ricomincia?

Ferruccio Cremaschi

Direttore responsabile Zeroseiup


È iniziato un nuovo anno educativo (e ormai i tempi della scuola scandiscono molti tempi della vita famigliare e sociale) e si ripresentano i problemi di sempre: insoddisfazione diffusa di famiglie e insegnanti, rassegnazione a rituali che ormai sembrano ineludibili.

L’inizio dell’anno scolastico ha coinciso con l’inizio delle attività di un nuovo governo: dichiarazioni un po’ più confortanti, rispetto al recente passato, sull’impegno per la scuola, aspettative e attese di una speranza un po’ tremolante.

Ma anche sotto questo aspetto lo sguardo è sull’immediato, su quello che deve/può succedere nel giro di qualche settimana, di qualche mese.

Certamente è il frutto delle politiche degli ultimi decenni che hanno tartassato anche la scuola, come tutto il mondo del welfare e dei servizi pubblici.

Siamo tutti un po’ frastornati, il mondo sta cambiando a livello epocale e noi siamo travolti e costretti nel far fronte a piccoli sfaceli quotidiani.

 

Vincere la rassegnazione: resistere non è restare

Il grande rischio che corriamo è che l’esigenza di resistere al progressivo sfacelo si traduca in un impegno a tener fermo quel che resta, a salvare il salvabile, a rosicchiare qualcosa qua e là per mantenere quello che è costato tanta fatica.

Non è certo un impegno da disprezzare o da buttare, ma se è solo questo è troppo poco. Sono molte le lodevoli situazioni che vedono impegnati con grande fatica educatori, insegnanti, amministratori, genitori, cittadini a incunearsi nei pochi varchi ancora percorribili per sostenere progetti di qualità, di rispondere alle esigenze del fare educazioni nonostante le condizioni materiali precarie.

Meno male che esistono ancora persone e realtà così impegnate, ma dobbiamo riflettere sulla direzione su cui ci stiamo muovendo, se per prima cosa ci è chiara se esiste e quale è la prospettiva dentro cui si colloca il nostro impegno.

Ci spiegano che decenni di televisione (di un certo tipo), il dilagare dei social ci hanno piegato lo sguardo sull’immediato, hanno ridotto le prospettive, hanno soffocato il dialogo. Ma proprio da questa dimensione dobbiamo uscire. Dobbiamo uscirne come cittadini: riprendere a riflettere, recuperare senso critico, dialogare, confrontarci, alzare lo sguardo a immaginare un altro futuro.

Il nostro sistema di servizi per l’infanzia ha una non lunga storia, ma una storia di cultura, di ricerca della qualità, di pratiche innovative. Ma come tutte le storie, rischia di appannarsi o addirittura di spegnersi, di ripiegarsi sul suo passato e fermarsi a contemplare il proprio ombelico. Stanno progressivamente lasciando il lavoro le generazioni di educatrici e insegnanti che hanno lottato per ottenere i servizi e per costruire la vita degli stessi (le routines che oggi viviamo nei servizi sono state per prima cosa grandi scoperte maturate sull’esperienza di bambini e educatrici). Non dobbiamo consegnarle come banali routines ripetitive, dobbiamo riuscire a trasmettere la fatica che sono costate, il significato che hanno avuto in un preciso momento sociale e culturale.

E alle nuove generazioni di educatori che entrano nei servizi dobbiamo restituire il coraggio di mettere in discussione le conquiste fatte per recuperarne lo spirito, dobbiamo aiutarli a rileggere pratiche e riferimenti importanti, ma che debbono essere ripulite dalle incrostazioni del tempo e del conformismo per ritrovarne il significato e la funzione. Dal punto di vista del bambino. La sezione, la figura di riferimento non sono certo d buttare, ma possono e debbono essere interpretate in modo rigido e univoco? La qualità è unica o ci sono qualità plurali da declinare?

Forse è una riflessione che va avviata e sviluppata con serietà e con distacco.

 

Allargare lo sguardo

La sommessa più impegnativa che, probabilmente, ci attende e ci provoca è quella di uscire dalla sicurezze e dalle secche dell’esistente e del collaudato e guardare la realtà del sistema educativo in modo globale e non succube del “è sempre stato così” e degli interessi delle categorie interessate.

Il nostro sistema educativo è nato a pezzi sulla base delle esigenze e delle pressioni sociali e del mondo del lavoro. L’infanzia è emersa tardi per piccole aggiunte a quello che già esisteva subendone spesso l’ingombrante modello.

Ma ha senso che Nido, Scuola dell’infanzia, Scuola primaria (e mi fermo qui per ora) esistano come segmenti a se stanti con normative e regolamenti diversi, affidati a gestori diversi che spesso non dialogano tara loro, con docenti che provengono da percorsi formativi diversi e con stato giuridico diverso? Forse l’unico elemento in comune è il dominus sommerso delle ASL (o come si chiamino nelle diverse regioni) che intervengono per proibire e negare.

Qui si pone la scommessa sul futuro: proviamo a incominciare a pensare veramente l’educazione come un percorso in continuum che ha al centro il singolo bambini con le sue capacità e i suoi limiti, con il suo sviluppo non lineare, ma con processi anche di progressi e arretramenti alternati? Vogliamo incominciare a pensare che l’educatore e l’istituzione educativa debbono affrontare per ogni singolo bambino un processo di adattamento alla sua personalità e al suo sviluppo?

Possiamo chiamare sindacati, amministrazioni, politici a ragionare finalmente a partire dal bambino?

è troppo tardi” dissero.

Tardi per un bambino che ha la vita davanti a sé?

M. Mokeddem

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