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Curricolo e contesti, per una scuola “mediterranea” dei bambini in età uno-sei anni

Amilcare Acerbi

Formatore, pedagogista


Invito alle ragazze del Sud !

In premessa.

Curricolo è un termine forte, impegnativo. Soprattutto se viene declinato minuziosamente secondo ruoli, interlocutori, tempi. Agli educatori e agli insegnanti più attenti e preparati potrebbe sembrare un vincolo, una gabbia, proprio perché essi sanno e conoscono bene quante siano le variabili quotidiane che incontrano e che debbono affrontare (regolamenti, disponibilità economiche, atteggiamenti delle famiglie, diversità dei bambini, relazioni tra colleghi, le proprie vicende familiari).

Ma la complessità della società e la velocità dei cambiamenti impongono che si rifletta e che si preparino esperienze utili per tutti i bambini nati in Italia. Credo però anche che gli apparati preposti alla direzione debbano, e noi che ragioniamo sui sistemi dobbiamo farci carico di difendere le scuole e gli insegnanti dagli assalti costanti che tendono ad attribuire loro ogni responsabilità.

Questioni nodali. La miglior difesa ritengo sia quella di distinguere ed evidenziare le vere e grandi questioni sul tappeto, in modo da suggerire agli operatori dell’educazione e della cultura linee guida che rassicurino e facciano ben comprendere a che cosa si punta.

E mi riesce più chiaro ragionare su “contesti” dentro cui far “scorrere” le esperienze dei bambini nei loro primi anni di vita comunitaria e dentro cui i docenti siano osservatori, registi, ascoltatori, consiglieri, modelli discreti. Contesti dove “accompagnare” e “accompagnarsi” nell’evoluzione, bambini, genitori, docenti, personale ausiliario. Contesti che rappresentino in prima istanza la risposta operativa anche a quattro questioni nodali, quasi delle precondizioni: la qualità della vita delle insegnanti; il ruolo educativo dei genitori; l’assedio ai bambini da parte del mercato; la relazione tra virtuale e reale.

Il ruolo degli educatori cambierà se gli si riconosce un miglior stipendio, un percorso formativo pluriennale, un tempo retribuito per programmazione e relazione coi genitori.

Il rapporto coi genitori si deve fondare su un patto, che riconosca la loro voce come educatori, crei una relazione aperta e continuativa con gli educatori, sapendo essi distinguere aspettative necessariamente diverse, si sviluppi attraverso confronti periodici su alcuni elementi valoriali (educazione alla sobrietà, alla cooperazione, alla solidarietà …). È problema dell’istituzione avere un patto, non del singolo insegnante.

L’assedio del mercato va analizzato, i bambini vanno aiutati a conoscere e valutare il senso e l’utilità degli oggetti, a evidenziare alternative o manipolazioni possibili, debbono essere accompagnati a scoprire interessi ed aiutati con discrezione a coltivarli.

Virtuale e reale vanno considerati in relazione, come due mondi di cui prendere confidenza e acquisire progressivamente padronanza, riconoscendone utilità e specificità.

Ciascuno di questi aspetti richiede un approccio adeguato ma per definirlo, visto che sono molto connessi, ci vuole che li assumiamo come obiettivo generale, da condividere, nel rispetto delle grandi potenzialità di apprendimento dei bambini, che via via sono emerse da studi e osservazioni e che impongono un approccio diverso da molte prassi educative in corso, così correlate al mondo della produzione effimera.

Ne deriva che dobbiamo lavorare ad una certa riconsiderazione degli ambienti classe, della loro organizzazione, delle occasioni di esperienza, della relazione tra bambini, del tempo che a ciascuno diamo per scoprire, conoscere, assimilare, respingere; di come si imposta la relazione e l’ascolto, di come la funzione di insegnamento la si reinterpreta come accompagnamento a scoperte personali, nei confronti di oggetti, materiali, persone.

La mia visione

Una ludo-scuola dove si cerca, si scopre, si impara. Da riempire di immagini, racconti, forme, materiali, vegetazioni. Una scuola ove si prende confidenza un poco per volta con i due mondi, che animano e circondano la vita di ognuno, quello reale e quello virtuale e si impara a gestirli e a gestirsi dentro di loro. Questa scuola dei bambini è uno spazio composto da centri di interesse a loro misura, condotta da adulti preparati ad ascoltare e ad accompagnare i bambini nelle relazioni tra loro e in relazione con cose e avvenimenti. La scuola dei bambini è sempre aperta e connessa con i genitori, per informarli dei progressi dei figli, concordare collaborazioni, definire presenze e raccogliere bisogni. Genitori, nonni, baby sitter potranno essere presenti, previa partecipazione ad alcuni incontri di preparazione gestiti dal personale del servizio. Le attività vanno vissute e condotte creando costanti connessioni tra reale, materico, virtuale, simbolico.

Bambini e adulti. Per bambini al di sotto degli otto anni mi piace pensare, piuttosto che ad un percorso, o a una successione di unità didattiche, ad un insieme di contesti, dentro cui ogni bambino/bambina possa provare ad entrare, assaggiare, creare interazioni e modifiche, uscire; ed eventualmente rientrare un altro giorno. E dove ogni volta possa stare solo, oppure incontrare un compagno, con cui fare, o più semplicemente osservarlo e carpirgli qualche idea, oppure passargliela. Altrettanto potrebbe incontrare un adulto che lo ascolta, lo osserva, chiede, suggerisce: senza prevaricare e neppure insistere troppo, tutt’al più agendo anche lui da solo e diventando così “modello”.

I contesti. I contesti sono coerenti con i potenziali di apprendimento di ciascun bambino, prevedono implementazione parallela allo sviluppo degli interessi dei bambini e alla lettura che ne fa l’adulto referente. Ma i contesti non posso essere avulsi dal mondo in cui viviamo e verso cui presumiamo di andare. I contesti tematici in cui sviluppare curiosità e interessi, in interno come angoli di gioco, in esterno come poli di interesse, a mio parere dovrebbero essere:

a. ambiente naturale/agricoltura/alimentazione con attenzione ai contesti locali e di provenienza delle famiglie, sviluppati attraverso angoli gioco e poli di interesse dove si coltiva, confeziona, alleva e si fingono ruoli e gesti di varie professioni.

b. Arte contemporanea e comunicazione visiva. Ove si osserva, imita, scoprendo e sperimentando gesti, combinazioni, materiali.

c. Finzione/comunicazione/simbolizzazione con un’attenzione particolare ai modi di raccontare, anche con la musica. Ove ci si relaziona, si progetta comunicazione, si sperimentano forme, si provano linguaggi diversi, mimico, mimico-verbale, video, grafico.

d. Logica e fisica, rapportate ai diversi contesti urbani in cui vivono i bambini. Ove si prova, si fanno ipotesi, si sperimenta, si codifica.

e. Sicurezza e gestione del rischio. La dimensione ludico/esplorativa caratterizza ogni approccio; l’attività motoria è incoraggiata e praticata quotidianamente. Angoli gioco in interno e poli di interesse in esterno ove si prova e ci si misura con le proprie abilità psicofisiche e i propri limiti, si utilizzano regole, si compete.

f. Riposo, ozio, meditazione, resi possibili in spazi in interno con risorse per leggere, ascoltare racconti, dormire e angoli in esterno ove riposare, ascoltare, chiacchierare. Ove ci si dà del tempo.

Ruoli degli adulti. Ciascun adulto dovrà sovrintendere a due o tre centri in interno e due o tre in esterno, quindi interpretarne l’uso da parte dei bambini e implementarne la consapevolezza e la dotazione. Il rapporto tra centri e numero di iscritti sarà in media di 1 a 4 in interno e da 1 a 6 in esterno. La giornata dei bambini trascorrerà nel rispetto dei loro tempi individuali, attraverso scoperte e riflessioni; verranno accompagnati in azioni di cooperazione; verranno incoraggiati in gesti e impegni di solidarietà; avranno facoltà di scegliere educatori e spazi ove stare e agire.

L’appartenenza alla comunità sarà trasmessa attraverso colloqui con i bambini, assembleari e quotidiani (a gruppi per anno di iscrizione e generale), che consentiranno di raccogliere riflessioni, scambiare idee, individuare e monitorare progetti collettivi, valutare e indirizzare comportamenti.

Meravigliosa risorsa. Alle educatrici di nido italiane va riconosciuta una energia pedagogica e un amore per la cura verso i bambini, straordinaria, che dura nel tempo, si alimenta e si evolve da anni e che non sarebbe difficile trasmettere alle insegnanti di scuola d’infanzia. Però …

La scuola dell’infanzia è stata agganciata alla scuola primaria quando essa aveva già perso tutta la forza innovatrice della scuola a tempo pieno. Lo sviluppo delle scuole dell’infanzia non sta nell’imitazione di quei modelli di trasmissione delle abilità e delle conoscenze.

Le insegnanti delle scuole dell’infanzia sono state protagoniste di una prima rivoluzione ben più difficile e utile, passando dall’assistenza “materna” all’educazione, inserendo la pratica di nuovi linguaggi, accompagnando i bambini verso l’autonomia anche affettiva, sollevando le mamme nel loro inserirsi nel lavoro e consentendo il raggiungimento della parità in famiglia.

Ora le une e le altre sono di fronte ad una nuova fase rivoluzionaria, propriamente culturale, non solo di nuove pratiche, ovvero accompagnare i genitori lungo il loro piacere di educare e allevare (pur nelle contraddizioni delle frequenti separazioni), accompagnare i bambini nel doppio mondo del virtuale e del reale, forgiarli per la convivenza e nella capacità di affrontare i cambiamenti, materiali e affettivi.

E se non loro, educatrici e insegnanti, chi ??

Tradimenti e opportunismi. Non saranno certo i comuni, che purtroppo hanno dovuto svendere e svendono le loro scuole dell’infanzia, che affidano a macrocooperative la gestione dei servizi nido, che pur sono in capo a loro (per mero risparmio e incapacità di elaborare contratti in proprio, eludendo i sindacati malati. Ma dove sta l’ANCI?), tradendo così la fiducia e le aspettative dei nuovi genitori che pur sentono la consapevolezza che il figlio è tanto loro così come della comunità in cui sono nati.

E neppure gli istituti comprensivi statali, schiacciati dalla interpretazione burocratica della didattica, dell’efficienza e della democrazia, fertile terreno delle contrapposizioni sindacali (e come risultato delle loro strategie oggi vantiamo gli insegnanti più frastornati e meno pagati in Europa. Sigh!).

Nuove educazione per il progresso sociale ed economico.

Le educatrici e le insegnanti, unite dalla stessa scommessa professionale, sociale, culturale, possono veramente dare un formidabile contributo al progresso economico, culturale e sociale dell’Italia. Perché sono loro che forgiano l’identità dei nuovi nati in Italia, di cui un buon quarto appare essere figlio di immigrati (possiamo dimenticare che nelle nostre scuole entrano ben 140 nazionalità?).

Meravigliosa scommessa quella di coltivare l’identità italiana e creare cittadini del mondo, contribuire a crescere “creativi” i bambini figli del mondo e passare loro il talento italiano!

La diversità. La creatività. La diversità è ricchezza? La creatività è dote italica naturale? Bisogna studiare e sperimentare come la diversità diviene ricchezza; bisogna alimentare la creatività di ciascuno e sfatare che sia frutto genetico.

L’accoglienza. L’accoglienza non riguarda solo i figli degli immigrati: tutti i bambini hanno bisogno di una nuova accoglienza, l’accoglienza non è solo un fatto di disponibilità economica, l’accoglienza è un fare e uno stare insieme in maniera diversa.

La mission. Questa scuola deve essere capace, in questa società che muta con accelerazioni improvvise, di offrire ai bambini, tutti, una nuova accoglienza e un ascolto profondo, che sa declinare le diversità trasformandole in vera ricchezza, che insegna la creatività, che accompagna ciascuno nel formarsi l’identità, con educatori in dialogo costante coi genitori, che sanno che cosa è la povertà, che gestiscono le contraddizioni identitarie, che si dedicano al tema della pace, che non temono di sviluppare le potenzialità di ciascuno. L’ambiente e le culture locali dovranno poter modellare le nuove azioni a favore dei bambini.

Le religioni pesano nelle modalità di convivenza, spesso determinando storture nelle relazioni e rispetto all’evoluzione dei diritti e dei doveri del vivere in comunità. Il processo di laicizzazione sembra liberare le menti, ma spesso fa perdere valori profondi di solidarietà e di rispetto reciproco. Bisogna tenerne conto, ascoltando e studiando.

Perché una scuola “mediterranea”?

Perché non credo che una scuola di ispirazione solamente mitteleuropea sia in grado di sostenere l’impatto coi nuovi bambini e coi nuovi genitori. La penso invece sviluppabile dalle insegnanti e dagli operatori culturali che più si sentono legati al Sud, ai luoghi di provenienza familiare, alle terre al di qua e al di là del mare. Perché è in Italia e nel Mediterraneo, che si sono incontrate e mischiate nei secoli culture, saperi, aspirazioni, le più varie. Così come non sono mancati gli arabi, nelle nostre terre, non sono mancati gli spagnoli o i francesi o ancora prima gli influssi mitteleuropei di Federico II. E qui, così, si sono forgiate le capacità di sopravvivenza, il coraggio dell’emigrazione, l’individualismo o la solidarietà di gruppo, corazze contro soprusi e violenze del potere. Caratteri distintivi di un popolo che non ama chi comanda ma è pur disposto ai sacrifici più grandi ed a ricercare soluzioni, anche in modo individuale o di gruppo ristretto. I segni sono ritrovabili nei caratteri e negli edifici, nelle sensibilità delle persone, nelle coltivazioni, nell’artigianato.

Il nuovo uscirà dal Sud. Questo è un invito alle insegnanti del Sud, alle giovani del Sud, che per vocazione o per sopravvivere, inventano servizi per i bambini (studiano, desiderano emanciparsi, non vogliono abbandonare le loro terre, sognano di essere connesse col mondo): saranno loro a inventare e realizzare il servizio unico zero-sei per prime, e con loro le giovani figlie di immigrati che si dedicheranno alla mediazione culturale o, spero, all’insegnamento. Certo, pescando aiuto nelle tante maestre salite al nord per necessità, per alimentare la propria emancipazione, emigranti per gli emigrati, così ricche di umanità e socialità.

Conclusione temporanea. La riflessione è volutamente sintetica e schematica; sottende un’elaborazione più articolata; ma soprattutto è un invito ad avviare un confronto. Aspirare a un nuovo modello e con un approccio diverso non suona come disconoscimento degli influssi mitteleuropei, ma i “cento linguaggi di Loris Malaguzzi” devono spingerci anche a pensare alle cento culture e alle cento sensibilità, da accogliere e da intrecciare, da oggi in poi. Il Dna degli italiani lo consente e le genti del Mediterraneo lo attendono.

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