
Matteo Lei

Laura Malavasi
Cosa ci guadagna un bambino a frequentare il nido, la scuola dell’infanzia e poi la scuola primaria e via andando?
E cosa ci guadagna a frequentare luoghi educativi aperti, flessibili , disponibili al cambiamento in cui le strutture organizzative e temporali possono essere morbide e fluide?
Il Convegno che Zeroseiup organizza il 17 -19 marzo a Torino parte da questi due quesiti: vorremmo che la riflessione culturale si focalizzasse sull’importanza del ruolo dell’adulto e sui molteplici e differenti atteggiamenti, stili e forme che l’adulto si trova a proporre e a giocare nella relazione con i bambini. Cercando di approfondire sempre di più la relazione tra pensiero e azione, rimanendo nella dimensione quotidiana e andando a porre l’attenzione sul ruolo dell’adulto che nell’arco della giornata attraversa momenti di routine, di ritualità di gioco, di libertà di noia, di relazione.
Come il bambino vive tutte queste situazioni nel corso della giornata, anche l’adulto che, molto spesso, li propone li organizza e li promuove ( nel senso che li legittima), li vive.
Possiamo considerare la quotidianità come il campo di allenamento ad una flessibilità mentale sempre più capace di stare vicina e prossima alle esperienze di gioco dei bambini? Le routine, ad esempio, possono innestare e promuovere innovazione, nelle esperienze dei bambini? Possono certamente fornire stabilità ma rappresentare anche un campo per il nuovo, per quello che ancora non c’è e che va ricercato. Pensare alla dimensione quotidiana come elemento che certamente offre sicurezza e stabilità, significa anche avere in mente un “tesoretto” di tempo a disposizione in cui è possibile incidere e sostenere davvero tanto. Quanto, in un tempo anche molto lungo se pensato in chiave longitudinale (2-3- anni di frequenza), è possibile lavorare sulla dimensione individuale in termini di personalizzazione e/o individualizzazione? Come il diritto ad una educazione per tutti e per ciascuno può e deve stare in relazione con una dimensione di comunità e di socialità? Pensare ad un progetto che sia il più possibile inclusivo e rispettoso dei tanti membri della comunità può paradossalmente arrivare a indebolire alcune dimensioni sociali e/o gruppali? Se la conoscenza si costruisce nella relazione con gli altri, questa relazione, nell’arco dell’intera giornata, dove va ricercata?
Laura Malavasi
In che modo possono esserci utili nuovi sguardi sulla progettazione dei servizi che si fondano su epistemologie che mettano al centro il tema dell’autonomie, delle differenze (e delle differenziazioni), dei corpi e degli apprendimenti legati alle esperienze interattive quotidiane?
Molti autori sostengono che siamo di fronte ad una nuova questione educativa consistente nell’avere ormai a che fare con bambini, anche piccoli, capaci di immaginare e progettare il proprio futuro. Chiunque, in ogni caso, si può rendere conto di quale approccio qualitativo e globale sia capace un bambino semplicemente ascoltando le sue domande im-pertinenti e in-disciplinate.
Eppure spesso gli adulti riescono a trasformare i bambini da sistemi im-prevedibili e non banali a macchine totalmente prevedibili e banali (Von Foerster, 1986).
Non possiamo più a lungo evitare un cambio radicale dal punto di vista educativo e costruire un percorso consapevole della complessità del vivente e delle sue relazioni (Fornasa, 2002). Di cosa abbiamo bisogno per cambiare?
Per quanto possa sembrare paradossale quello che serve è una cornice!
Una cornice entro cui definire questioni di etica evolutiva che sollecitino un cambio di atteggiamento e di prassi educative volte a sostenere l’acquisizione per le future generazioni di una “competenza evolutiva” (Banaty, 1988) che possa permettere di affrontare e gestire il cambiamento e la complessità, di rinnovare i punti di vista e di ristrutturare i sistemi attraverso riorganizzazioni a livelli superiori. A quest’ambito appartengono quindi le non più rinviabili revisioni di atteggiamenti e comportamenti personali e collettivi, rappresentazioni della conoscenza, stereotipi sociali, la sostenibilità delle decisioni, la gestione delle differenze, la pratica cooperativa/competitiva che concorrono alla formazione della “eco-competenza”.
In che modo possono esserci utili nuovi sguardi sulla progettazione dei servizi che si fondano su epistemologie che mettano al centro il tema dell’autonomie, delle differenze (e delle differenziazioni), dei corpi e degli apprendimenti legati alle esperienze interattive quotidiane?
Matteo Lei