Intervista a Nice Terzi
di Elena Tavoni
Se parliamo di continuità educativa tra Nido d’infanzia e scuola dell’infanzia, quali possono essere gli intenti progettuali?
Se si parla di continuità educativa, più che analizzare e confrontare progetti educativi mi sembra necessario fare lo sforzo di esplicitare le intenzioni educative che li motivano, di mettere queste a confronto e di cercare in esse quella continuità che mantiene una coerenza educativa pur nella diversificazione delle scelte e dei progetti.
È questo un impegno metodologico importante che sta alla base della progettazione e del lavoro di gruppo del nido e della scuola dell’infanzia all’insegna di ciò che amo chiamare “coerenza educativa”.
Esplicitazione che riguarda in modo prevalente la dimensione della quotidianità e una sua periodica rivisitazione intesa come riflessione intorno a spazi~tempi-ritmi.
Con ciò intendo una rivisitazione delle azioni, dei pensieri e delle emozioni, che sostanziano e consentono la possibilità di riflessione intorno a ciò che accade sia tra me i bambini, sia all’interno del gruppo dei bambini; un confronto tra ciò che avviene concretamente nella quotidianità e ciò che desideravo che avvenisse e che avevo intenzione di fare come insegnante. Il confronto attento ed esplicito, dunque, tra quello che succede e quello che avevo in mente di fare, risulta essere uno strumento che aiuta l’insegnante nel perseguire una coerenza educativa. A volte capita che i comportamenti messi in atto possono risultare non coerenti ed anche essere contraddittori rispetto al nostro pensiero progettuale iniziale in quanto intervengono variabili diverse sia personali che istituzionali che non siamo abituati a prendere in esame e a confrontare nel gruppo di lavoro in quanto costituiscono degli impliciti e dei non detti.
Ad esempio, facendo riferimento al contesto educativo della sezione e alla collocazione degli oggetti, in particolare, se colloco “un oggetto a portata di mano” del bambino sopra a una mensola accessibile oppure in alto non accessibile, lo faccio in relazione a miei pensieri. Voglio dire che se dichiaro la mia fiducia nelle competenze dei bambini, sarà necessario che io investa in queste competenze, mettendo in conto tempo e metodo affinché i bambini imparino a usare i materiali senza contusione e senza romperli, se invece li metto tutti in alto non ho più questi problemi ed evidentemente contraddice la dichiarazione iniziale anche se in modo non intenzionale.
Scelte abituali che paiono irrilevanti hanno valenze diverse come da esempio lasciare che i bambini ogni giorno scelgano da soli il posto a tavola può apparire una scelta democratica mentre, in realtà, premia i più estroversi, i più competitivi e irruenti, ma forse prevaricanti mentre penalizza i più timidi, fragili e rispettosi e non garantisce a ciascuno il proprio posto come elemento di riconoscimento anche identitario. Sicuramente non erano queste le intenzioni e i valori a monte, ma per riconoscerli e necessario interrogarsi e confrontarsi anche intorno alle scelte organizzative.
L’agire con coerenza educativa ci permette di dare forma alla nostra intenzionalità che deve essere esplicitate nel gruppo di lavoro.
Le insegnanti, così portate a riflettere, si accorgono che nella coniugazione della quotidianità ci sono molti comportamenti e atteggiamenti adulti responsabili di contenuti, valori, divieti e priorità che si comunicano al bambino. Sono questi comportamenti che svelano a ciascuna come si pone, nei fatti, l’educatrice e che portano a riflettere sull’importanza degli sguardi, della qualità dei gesti, del tono della voce.
È utile nei momenti di progettazione aiutare le educatrici e le insegnanti a ricordare e riesplicitare le intenzioni educative fondanti che le guidano, ma che possono disperdersi o vanificarsi nell’incontro con aspetti della quotidianità e della ritualità. È la chiarezza e la consapevolezza di queste intenzioni che da spessore e contenuto alla coerenza e alla continuità di tale coerenza nelle diverse età.
Ad esempio, quando accogli un bambino al mattino, pur nella concitazione e talvolta nella contusione di questi momenti, il tuo gesto può risultare parimenti frettoloso e il tuo sguardo passare sopra la sua testa per mancanza di tempo. È utile riflettere e accorgersi che ci si mette lo stesso tempo ad avere veramente un contatto visivo diretto e intenso e significativo con ciascun bambino nel momento dell’accoglienza. Quello che cambia non è il tempo, ma il pensiero e quell’intenzione che arriva tutta intera al bambino. Anche questo breve tempo di attenzione pone a rispettare l’individualità.
Dare attenzione e importanza anche alle piccole cose che un bambino fa, ai suoi comportamenti come ai suoi giochi e garantire sguardi interessati sul suo fare, riesce a dare a ogni bambino la percezione del suo valore per noi.
Quali possono essere i possibili obiettivi per il progetto di continuità educativa?
L’esperienza di Loczy rende evidente l’importanza della qualità delle cure, perche come dice la David è la qualità delle mie cure, del mio gesto, del mio sguardo, del tono della mia voce e della mia attenzione che racconta il valore che mi attribuisci e questo vale per un bambino di un anno, di due o di tre, ma anche per un bambino di cinque anni.
Il primo senso della cura e proprio il riconoscimento di sé.
Il rispetto dell’individualità di ciascuno e ciascuna, anzi il rispetto del diritto all’individualità muove l’azione dell’insegnante con l’intenzione di sostenere l’identità dei bambini.
Dare riconoscimento è un elemento importante per la formazione dell’identità individuale ed è un’intenzione, un atteggiamento, uno stile dell’adulto che taglia trasversalmente e segna l’intervento educativo nelle diverse fasce d’età.
In ogni situazione posso dare riconoscimento al suo fare, al suo sentire, al suo pensiero e posso restituirgli il senso dell’esperienza che sta vivendo, in base alla chiarezza che si forma nella mia mente di adulto che osserva e ascolta.
È in questo che mi sembra si debba cercare e mantenere la coerenza educativa.
In ogni intervento, anche quando si hanno intenzioni prettamente didattiche, il rispetto per l’individualità del bambino, il suo singolare processo di apprendimento, ci orienta ad ascoltare prima di intervenire, per cogliere con attenzione i suoi segnali comunicativi affinché quello che ci aspettiamo da loro non prevarichi la lettura di quello che stanno facendo, dei loro soggettivi interessi e modi di procedere.
A volte l’educatrice e più spesso le insegnanti di scuola dell’infanzia, quando propongono ai bambini dei percorsi o delle attività strutturate, le orientano fortemente verso un modo di tare le cose e di documentarie che finisce per corrispondere maggiormente alle loro intenzioni e necessita piuttosto che aderire alle intenzioni e agli interessi più sottili ed effimeri dei bambini.
Qual è allora il ruolo degli insegnanti?
Ritengo che un compito prioritario dell’educatrice consista nel cogliere i segnali comunicativi dei bambini mentre fanno o mentre giocano. Stia nel capire cosa fanno e come lo fanno, come un bambino interpreta una proposta e si muove al suo interno. Mi sembra che la progettualità educativa richieda la piena consapevolezza della propria intenzione e poi la capacita di osservare quello che avviene per capire.
Dunque, come dicevo, un obiettivo importante della coerenza educativa dovrebbe essere quello, nelle diverse età, di dare riconoscimento al bambino e di sostenerne l’identità. Questo deve essere un compito di base dei servizi educativi. È certamente vero che sono necessarie condizioni che lo consentano, organizzazione dei tempi, degli spazi, del lavoro degli adulti, programmazione analitica di tutti i momenti del tempo scolastico.
Ma soprattutto alla base e necessario un lavoro di gruppo basato sul confronto aperto, sulla capacità di condividere alcuni obiettivi e di confrontarsi non solo sui grandi, ma sulle modalità minute e quotidiane con cui si progetta l’intervento educativo. Gill aspetti contraddittori emergono quando si prova a scomporre il proprio pensiero, (ad alta voce insieme agli altri) fino ad analizzare il gesto, più o meno coerente del bambino, con la finalità di dare riconoscimento al suo gioco, al suo apprendimento tramite le forme che trovo per affiancarlo a partire dalle sue conoscenze.
Se riflettiamo intorno ai frequenti problemi che si incontrano oggi nelle classi di scuola primaria e secondaria non è difficile riconoscere che alla base spesso si tratta di mancanza di riconoscimento.
Le fatiche emotive dei bambini, a volte proprio per la mancanza di questo riconoscimento si manifestano in disagio, aggressività, persino bullismo, e possono pregiudicare la vita e il successo scolastico del bambino.
È responsabilità dell’adulto gestire al meglio le relazioni a partire dal nido d’infanzia, fino ai livelli successivi. È questo che deve caratterizzare la continuità tra i due servizi educativi.
Nice Terzi pedagogista, già consulente del Comune di Roma
E. Bigi e S. Mei (a cura), I Servizi per l’infanzia in Emilia-Romagna, Bologna, 2010