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Conflitti, guerre, l’assurdità adulta

Dario Arkel

Pedagogista e docente universitario


A pochi tornano in mente i campi di sterminio e di concentramento tedeschi, perché, per lo meno in Ucraina, il conflitto è in corso e l’occupazione non stabilizzata. Se verrà un giorno stabilizzata i bambini, che già pagano un tributo di sangue altissimo e devastante, ne soffriranno probabilmente ancora di più, ma non possiamo ancora esserne certi. Nelle reciproche accuse di nazismo, i due contendenti utilizzano metodi inumani di annientamento del nemico, gli ucraini richiedendo armamenti sempre più sofisticati e potenti, gli avversari sperimentando tecnologie sempre più sofisticate. Due popoli vicini, prossimi, come gli amici fraterni Olek e Bolek del racconto di Korczak. Nella Fiaba della vita, inserita nel testo Il vecchio dottore, due bambini che si adorano scoprono di non poter essere amici perché uno aveva una nonna ebrea e l’altro una nonna tedesca. La guerra farà sì che i due si incontrino in un duello aeronautico, uccidendosi a vicenda. Nello scoppio e nel boato i relitti fiammeggianti cadono in aperta campagna dove un papà e la sua bimba camminano tenendosi per mano. Scrive Korczak nel finale: Tre vedove piansero: a una hanno ordinato di essere ebrea, alla seconda hanno ordinato essere tedesca, anche la terza ebrea, mamma di un’ebrea e moglie di un ebreo. La mia fiaba termina qui. Ma non è finita la loro fiaba. Io non so altro, ma loro sì, perché le loro anime sono rimaste, anche se i loro corpi sono bruciati. Perché le anime sono ignifughe e quando muore una persona, la sua anima senza aeroplano, senza benzina e senza pallottole di piombo vola alta nel cielo. Le loro anime adesso sanno com’è, perché era così e perché è così: non si preoccupano. Adesso sono felici e non hanno bisogno delle nostre lacrime, perché conoscono ciò che avverrà.

La Storia, genericamente si sforza di essere preveggente, indicandoci ciò che è stato. Ciò che è stato è sempre un macello di bambini, donne, uomini, da qualsiasi parte la si voglia vedere, tra una botta e una risposta, la Storia, nella sua essenza, è una cronologia di lutti, di lotta di interessi che sfocia poi nel delirio dell’incendio di corpi, sospiri di giovani vite, un piagnisteo universale, come ne diceva il poeta Eliot. 

Kurt Levine scrive in Teoria dinamica della personalità che quando un educatore vuole aiutare il bambino, tratta con i suoi conflitti. Per influenzare il suo comportamento, presente e futuro, ha tre possibilità: 1) Incentivare le forze positive del bambino ricompensandolo (rinforzi); 2) Fargli pressione con minacce e punizioni; 3) Trovare le ragioni del conflitto e cercare di rimuoverle e ridurle. 

Il corretto processo educativo è una combinazione della prima e della terza opzione, mentre l’insistenza del conflitto è dovuta inevitabilmente, come nel caso di tutte le guerre, all’assurdità delle minacce e delle punizioni. Di guerra muoiono tutti, vincitori e vinti. Nel suo caso, Korczak provò ad aiutare i bambini combattendo i conflitti interiori in vari modi, tenendo ben presente l’unicità di ciascun bambino; utilizzava sedute, incontri di interlocuzione pedagogica più spesso con ognuno di loro, inoltre amava scommettere sui progressi degli ospiti dell’Orfanotrofio ebraico di Varsavia. Il bambino veniva ricompensato con cartoline o caramelle. Gli adulti – ci informa l’accademico israeliano Yehuda Cahane – non interferivano nei conflitti che potevano instaurarsi tra un bambino e un suo compagno o tra un bambino e la società (inosservanza delle regole o delle abitudini), ricorrendo in questi casi all’utilizzo del Piccolo Tribunale gestito direttamente dai ragazzi, partendo da un concetto di mediazione tra le parti giungendo, però, ad un giudizio netto e inappellabile. Come ho riportato nel Bambino Vitruviano, il Tribunale venne istituito perché il bambino avesse diritto a veder trattare i suoi problemi con serietà ed equità. Esso garantiva il diritto e l’ordine. (…) I bambini potevano portare davanti al Tribunale tutti (coetanei, educatori, adulti). Questo dispositivo era luogo eletto di discussione, consiglio, decisione, disincanto dalla collera. Inoltre, il Tribunale era regolato da un codice grazie al quale poteva non soltanto rendere giustizia ai bambini, ma anche permettere loro di essere di volta in volta, giudici, imputati, vittime.

Disegno maestro legge un libro ad una classe

Il conflitto appartiene al mondo degli adulti, i quali, in un modo o nell’altro, purtroppo tendono a trasmetterlo ai piccoli mostrando il pericoloso livello mai virtuoso della competizione che non riguarda il sano agonismo sportivo (lo sport infatti, dove non inquinato dal denaro e interessi correlati, educa al rispetto dell’avversario) ma il sorprendere un presunto avversario ignaro di essere tale. Ciò si applica con estrema freddezza, come l’aggressione strisciante di un serpente o di popoli inermi sterminati, quale il popolo ebreo – per limitarci ai nostri temi di pertinenza. 

Clara Minskberg Ma’ayan, una delle assistenti di Korczak sopravvissuta alla Shoah, ha scritto che I bambini nell’orfanotrofio di Korczak non smisero mai di essere bambini, anche se opinioni diverse sostengono che questa istituzione fu una casa per una “rinnovata gioventù”. Non fu certo un luogo minaccioso come una “casa di carità” dove ogni bambino doveva essere grato per ogni cosa che gli si dava. La vita fu sì protetta da regole e prescritti, dei quali ogni educatore vicino a Korczak era consapevole di tutte le restrizioni: tuttavia i bambini erano padroni dei loro diritti e le loro opinioni venivano tenute in considerazione. Sapevano come organizzarsi tra loro e con quali mezzi potevano aiutare un compagno. Korczak era solito dire: “Non siamo maghi e non miriamo ad essere superiori”, volendo evidenziare che “il male si rende noto da sé, mentre il bene è per ognuno una scoperta”. Questo atteggiamento sottolinea lo speciale approccio di Korczak nel trattare con il conflitto, che si desume altresì nell’analisi degli esempi di vita quotidiana nel Dom Sierot di Varsavia.

Come racconta ne “Il mio maestro Janusz Korczak  Ytzchack Belfer, uno dei bambini di Korczak  scampato a Treblinka, all’interno della Casa dell’orfano, i conflitti che gli ospiti desideravano risolvere a modo loro, vale a dire con la forza fisica, venivano proposti su ampi manifesti informativi, tipo: “Yoska sfiderà Benja alle ore 16 nella sala del ricreatorio”. Come si è già detto, la trasformazione in evento fa sì che automaticamente la sfida si ricomponga attraverso le regole dell’agone di tipo sportivo, stemperando così la rabbia accumulata tramutandola in un’esibizione con i due ragazzi protagonisti. Belfer racconta inoltre che divenne un artista proprio grazie all’intuizione di Korczak e alla benevolenza della sua principale assistente Stefania Wilczinska. Infatti, egli disegnava ovunque. Korczak se ne accorse e ne parlò a Stefa che liberò immantinente la sua stanza e ne fece un atelier per il bambino. Pongo qui questo ad esempio dell’attenzione che regnava nell’Orfanotrofio alle esigenze del singolo, senza mai trascurare il gruppo sociale. I due riferimenti si sposano insieme proprio per simboleggiare la mediazione dei conflitti. Il primo tra due contendenti, il secondo interno al bambino stesso nel rispetto delle proprie attitudini e aspirazioni.

L’esempio della pittura di Belfer ci trasporta ad un’esperienza unica nel suo genere che sancisce il protagonismo del bambino attraverso l’arte. Mi riferisco al Campo di Terezin, in Boemia, nel quale, grazie al valore e alla sapienza di Friedl Dicker-Brandeis i bambini quivi rinchiusi, separati in un loro mondo autonomo prima della tragedia espressero un’inaspettata vocazione poetica e non solo artistica. Essi seppero cogliere quanto mancante in quel mondo, disegnando e dipingendo farfalle e fiori. La natura che salva l’uomo e rende gli uni eguali agli altri, sotto lo stesso cielo, prima dell’epilogo. A testimonianza che il bambino non può morire, perché è ignaro di tutto quanto comporta la distruzione e, in fondo, è l’unico essere a nutrire fiducia nell’adulto. Per lo meno nell’idea di un adulto consapevole.

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