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COME SI E TRASFORMATA LA NOSTRA SCUOLA?

Umberto Galimberti

Ha abbandonato ogni intento formativo per limitarsi alla valutazione delle prestazioni oggettive.

I tratti che la nostra scuola va assumendo, e che individuiamo nella pianificazione, nell’imprenditorialità, nell’organizzazione, nella programmazione, nell’occupazione del tempo e nella disciplina da adottare nella creazione del lavoro, mi pare che riguardino solo gli insegnanti. Posso immaginare che tutti questi indirizzi o sollecitazioni spengano la creatività dei maestri, anzi ne sono abbastanza convinto. Ma mi chiedo: quanti sono gli insegnanti che possono definirsi “maestri”? Uno o due per classe quando va bene? E per gli altri?

Per gli altri quei suggerimenti non nuocciono, perché là dove manca creatività, se non si pianifica, non si organizza, non si programma, il posto lasciato vuoto dalla creatività viene occupato dall’ignavia, dall’accidia, dalla noncuranza.

Adesso però portiamoci dalla parte degli studenti e chiediamoci: quella pianificazione, quell’imprenditorialità, quell’organizzazione, quella programmazione sposta l’asse della valutazione degli studenti dalla loro personalità (in ogni suo aspetto completamente trascurata) alle loro prestazioni. Ne è una prova il fatto che non si fanno più i temi in classe dove potrebbe emergere la personalità dello studente, e al loro posto si fa la comprensione di un testo scritto dove si valuta la competenza linguistica. In questo modo nulla traspare della soggettività dello studente, della sua visione del mondo, della qualità delle sue emozioni e del grado raggiunto dal suo sentimento che, come è noto, è anche una facoltà cognitiva che comprende le cose anche senza attivare un percorso analitico.

Va da sé che la cura delle emozioni e dei sentimenti è il tratto specifico dell’educazione la quale, proprio per questo suo profilo, si distingue dall’istruzione che è una trasmissione di informazioni da una mente a un’altra. Cosa questa che, manco a dirlo, risulta efficace se prima si è aperto il cuore, agganciando la dimensione emotiva e sentimentale dello studente. Questo ovviamente può accadere solo a due condizioni: che gli insegnanti, oltre a un’adeguata conoscenza della psicologia dell’età evolutiva, abbiano un minimo di empatia e un vero interesse per i ragazzi a loro affidati, e che le classi non superino il numero di 12 o al massimo 15 studenti. Perché se, come oggi accade, le classi sono composte da 30 o 35 studenti si è già preclusa a priori la possibilità che nella nostra scuola si possano attivare percorsi “educativi”. Al massimo si istruisce, ma certamente non si educa.

Poi non ci si deve stupire se assistiamo a scene di bullismo tipico di chi, nel suo processo di crescita, si è fermato a livello impulsivo, senza che la scuola abbia fatto nulla per elevarlo fino a fargli avvertire la risonanza emotiva dei suoi gesti e delle sue parole, e consentirgli di accedere a un adeguato livello sentimentale, dal momento che, come diceva Kant: «La differenza tra il bene e il male ciascuno la sente naturalmente da sé».

Quello che era presumibilmente vero ai tempi di Kant, oggi non è più vero. E qui la scuola ha un compito e una responsabilità enormi, perché chi ha un sentimento non stupra una ragazza, non brucia un immigrato, non picchia un portatore di handicap. E se queste cose succedono è perché la scuola non si occupa della formazione delle persone, ma solo delle loro prestazioni oggettive e facilmente valutabili.

D la Repubblica 9 GIUGNO 2018

 

 

 

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