Franca Manoukian, psicologa Studio A.P.S.
Ritrovo in questo seminario tante persone che conosco perché negli anni scorsi ho condiviso con loro dei percorsi formativi, animati da un impegno a ricercare modalità organizzative e operative più adeguate: ci univa e ci sosteneva l’obiettivo di realizzare dei servizi sempre più rispondenti alle esigenze e alle domande dei bambini e delle loro famiglie, misurandosi con le risorse e con i vincoli istituzionali, economici, culturali, con le fatiche e le difficoltà inevitabilmente inscritte nelle quotidianità delle interazioni. Ho immaginato l’incontro di oggi come momento per ri-conoscersi insieme, per confrontarsi rispetto a quello che sta succedendo nella nostra città e per proporre all’Amministrazione Comunale un messaggio forte, per prendere posizione e segnalare che cosa vada fermamente tenuto e mantenuto per un reale e positivo funzionamento dei servizi per I’infanzia.
In questo senso ci, mi tocca – e mi sta anche a cuore -fare un discorso “politico”, un discorso cioè che richiami l’attenzione sul senso delle decisioni che riguardano la vita collettiva, la vita che singoli e famiglie condividono in uno stesso territorio.
Non credo valga la pena insistere sullo scandalizzarci a vicenda per quello che non viene fatto e neppure sull’indicare puntualmente quello che si dovrebbe fare e che comunque non si farà. Credo piuttosto che sia importante porre all’Amministrazione in modo forte e chiaro una domanda (anche se probabilmente è poco interessata ad ascoltare): Possiamo fare a meno dei servizi per I’infanzia? Possiamo fare a meno dei servizi educativi per l’infanzia, dei servizi cioè che sono chiamati dalla società, da tutti gli abitanti di una città a creare o contribuire a creare dei contesti adeguati alla crescita del bambini?
Non possiamo farne a meno. E diciamo anche più chiaramente perché.
Viviamo in una società estremamente disgregata, contraddittoria, squilibrata, frammentata dove sono presenti, coesistono gli orientamenti i più diversi sull’educazione dei bambini e dove non si vedono tuttavia grandi miglioramenti nelle condizioni che vengono tutelate effettivamente per la loro crescita. Il moltiplicarsi e l`affinarsi di vari saperi rispetto alla crescita non si è tradotto direttamente in maggiori competenze e capacità degli adulti ad occuparsi dei bambini. Piuttosto si sono diffuse e ampliate sempre di più le attese e le pretese nei confronti dei figli, di bambini che devono essere abili, intelligenti, precoci e felici da parte di genitori che sono sostanzialmente in grandi difficoltà di fronte ad ogni decisione rispetto a comportamenti dei bambini: si fa fatica ad ascoltare i bambini, a riconoscere i segnali che danno, a comunicare; si ricevono e si seguono indicazioni e suggerimenti che vengono dalle fonti più svariate; si finisce per essere disorientati tanto più quanto più i figli crescono. Al di là di tante altre considerazioni, quando si auspica che le donne possano restare a casa a curare i propri bambini, si sottovaluta il dato che una mamma, inevitabilmente isolata e risucchiata nel mondo domestico, non dà alcuna garanzia di essere in grado di realizzare delle condizioni adeguate per la crescita dei bambini stessi.
È importante che si faccia chiarezza su questi orientamenti. Qualche decennio fa la mamma casalinga poteva contare su modelli di riferimento collaudati e culturalmente condivisi per far crescere i figli: sapeva che cosa era bene per i bambini riguardo al cibo, al sonno, alla pulizia, ma anche rispetto al punire e premiare, all’obbligare e al lasciar fare. Oggi non si sa più che cosa sia necessario permettere e proibire, imporre o tollerare, che cosa faciliti l’apprendimento di capacità e che cosa lo impedisca… E spesso i riscontri che i bambini ci danno, i ritorni che ci rimandano con i loro comportamenti risultano oscuri, incomprensibili, difficili da sostenere, da reggere, da riprendere e pertanto angoscianti.
Le relazioni che la società, gli adulti, tutti quanti oggi abbiamo con i bambini sono ambivalenti. I rapporti tra le generazioni sono sempre stati ambivalenti, ma oggi più che mai perché i bambini sono una minoranza.
Anche se in questo periodo il numero dei bambini a Milano è in aumento, nel quadro complessivo sono comunque una minoranza e le minoranze sono intrinsecamente e inevitabilmente emarginate; vengono poste ai margini del tessuto sociale. Non a caso si fanno tante iniziative, come quelle che si intitolano “La città dei bambini”: si promuovono proprio perché la città non e dei bambini e ci si sente in dovere di riparare, di risarcire con delle azioni relativamente extra-ordinarie che mettano al centro i bambini, che li vedano protagonisti. Le ambivalenze condizionano molto a mio parere le interazioni. È importante che la minoranza dei bambini – che viene continuamente esaltata e nello stesso tempo maltrattata, sbattuta sui giornali, trascurata, strumentalizzata per moltiplicare i consumi, ecc. – venga tutelata.
E non può essere tutelata soltanto dai genitori, da vari tipi di specialisti e neppure da tutte le norme che si rinforzano a vicenda (restando comunque solo parzialmente applicate, come la Convenzione di New York). Si tratta di diffondere e rinsaldare una cultura.
I servizi educativi per l’infanzia costituiscono un fattore strategico fondamentale per andare in questa direzione.
A mio parere questo è un punto da proporre e sottolineare in modo il più possibile chiaro e fermo.
I servizi è importante che non offrano soltanto spazi per sviluppare nei bambini abilità manuali, capacità intellettive, attitudini alla socialità e apprendimenti delle autonomie: è fondamentale che siano promotori di interazioni tra famiglie e bambini, tra servizi e famiglie, tra famiglie di diversa estrazione e collocazione sociale; è cruciale che i servizi contribuiscano a costruire tessuto sociale attento e appropriato per la crescita dei bambini e quindi che siano promotori di interazioni tra cittadini e tra istituzioni e cittadini; i servizi possono avere, hanno un ruolo centrale per la promozione di integrazione sociale, ovvero per la continua costruzione e ricostruzione di interazioni positive e fiduciose di cui tutti non possiamo fare a meno per poter convivere entro quella “sicurezza” che tanto ci sta a cuore.
Si vive più sicuri non certo moltiplicando le misure repressive o potenziando le misure di ordine pubblico ma facendo crescere una società più integrata. l servizi, soprattutto quelli che come i servizi per l’infanzia, interagiscono con molti cittadini intorno ad aspetti della vita quotidiana, hanno una funzione essenziale, che non può essere indebolita o messa da parte, considerata marginale. Il confronto politico a mio parere va portato su questo piano.
È dai legami che si creano tra famiglie e istituzioni che si arriva faticosamente, pazientemente a istituire, promuovere, contenere, mantenere nel tempo le condizioni perché i bambini possano crescere in un ambiente sociale più adeguato, più tutelato, ovvero che sia meno peggio di quello che tendenzialmente si va estendendo: se, cosa permetta effettivamente di crescere “bene” non lo possiamo sapere, cerchiamo almeno di evitare quello che abbiamo sperimentato come incongruente.
In quest`ottica non mi sembra regga una contrapposizione o anche una giustapposizione tra servizi pubblici e privati: tutti hanno una funzione pubblica ed è importante che ci sia un ente “pubblico” (nel senso etimologico della parola, che è riconosciuto da tutti, tutta la popolazione perché riguarda tutti) che svolge una funzione di coordinamento, indirizzo, verifica, regia, orientamento e controllo per evitare che ci siano arbitrii e disgregazioni. Per sostenere questo orientamento rispetto alla tutela delle condizioni di crescita dei bambini e quindi per concorrere a sviluppare interazioni fra soggetti diversi, soggetti individuali e collettivi presenti in uno stesso territorio è necessario che nei servizi lavorino operatori molto competenti.
Mi riferisco però ad una competenza che non sia solo e tanto pedagogica, psico-pedagogica, di accudimento e vicinanza relazionale, ma riguardi il costruire interazioni, interazioni interistituzionali, interazioni interorganizzative e soprattutto il darsi, il realizzare e affinare nel tempo un’organizzazione adeguata a far funzionare i servizi in modo attento, vigile e vicino: servizi che tutelino la crescita del bambino e nello stesso tempo siano aperti e interattivi, orientati a quel modo di lavorare progettuale integrato, che è cosi importante per la società in generale.
Spesso mi trovo a richiamare l’attenzione sul fatto che per gli operatori dei servizi è importante avere uno sguardo “strabico”: un occhio rivolto più direttamente alla realizzazione della attività ed uno orientato al costruirsi le condizioni per poter lavorare. A fronte delle complessità che oggi si devono affrontare e gestire, a fronte dei cambiamenti rapidi e imprevisti da cui ci si trova investiti nessuno ha più titolo di chi lavora nei servizi per dare indicazioni per migliorarne il funzionamento e l’efficacia. Questo non significa che ognuno deve aggiustarsi ma che è ragionevole e consigliabile ascoltare e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze maturato nel corso degli anni e di cui gli operatori sono i primi depositari.
Credo che una più precisa definizione dei ruoli, una più dettagliata articolazione dei tempi, una più chiara distinzione delle diverse declinazioni dei servizi possa essere anche utile, se però non è razionalizzazione teorica e se tiene conto che nella quotidianità sono comunque gli operatori, con le loro rappresentazioni e con le loro azioni, che possono rendere l`organizzazione e quindi i servizi, più o meno al servizio dei bambini e delle famiglie.
E’ importante che si investa nella co-costruzione.
Le organizzazioni dei servizi sono sempre soggette ad un duplice rischio, quello della burocratizzazione e quello della dissipazione. Se le organizzazioni vengono abbandonate a loro stesse, alle loro dinamiche interne (come sta succedendo nei servizi del comune di Milano e in tante altre aree della amministrazione pubblica) da un lato si riducono come uno scheletro e si burocratizzano, dall’altro tendono a disarticolarsi, a sparpagliarsi per cui viene assunto a vincolo organizzativo ciò che è coincidente con la volontà dei singoli, per cui ognuno fa quello che vuolee si va verso la confusione e il disordine.
Per non cadere nella burocrazia da una parte e nella dispersione dall`altra è importante che si investa nella formazione e in una formazione che fornisca agli operatori opportunità di acquisire competenze nella costruzione organizzativa.
Oggi mi sembra che l’organizzazione dei servizi sia poco curata, poco o nulla co-costruita e quindi esposta più che mai a questi rischi che ho detto.
Ma questo non è un male per i servizi, è un male per tutti noi. I servizi si impoveriscono, la città di Milano si impoverisce e tutti ne subiamo le conseguenze.
La scommessa dei bambini, Milano, 2008