La prima cosa che mi viene in mente è l’adattamento dello spazio e del gioco all’età del bambino, nel senso che più il bambino è piccolo più le occasioni per giocare in uno “spazio suo”, in un “territorio suo” sono importanti.
Bisogna poi distinguere tra lo spazio del bambino per giocare da solo e quello per il gioco di gruppo. Per il gioco singolo, il territorio può essere anche momentaneo, importante è che ci siano le condizioni perché il bambino possa crearsi questo spazio dove poter sviluppare la sua attività di tipo
simbolico-affettivo.
Il gioco di gruppo necessita di luoghi collettivi, dove il fatto di poter “stare insieme” sia anche garantito dal fatto di poter disporre di materiali effettivamente condivisibili. Più che di spazi veri e propri parliamo di “condizioni” che permettono al bambino di giocare e di osservare che cosa fa l’altro bambino, cosa fondamentale per l’apprendimento.
– Come devono essere strutturati gli spazi esterni?
Oggi, purtroppo, negli ambienti esterni e pubblici ci sono problemi di igiene, che condizionano le possibilità di gioco del bambino.
È importante che questi spazi creino le condizioni per incoraggiare il gioco d’avventura e quindi per stimolare la fantasia del bambino: devono essere perciò dotati di tutti quei mezzi e dispositivi come tunnel, arrampicatoi o semplici muretti, che consentono dei percorsi non solo fisici ma anche psicologici. Per creare situazioni di avventura anche in casa ci vuole poco: ad esempio, rovesciando una sedia e creando una barriera con una tenda, il bambino riesce ad isolarsi in un suo mondo fantastico e di gioco.
Il bambino ha infatti bisogno di praticare “corporeamente” l’avventura, non solo di fantasticarla.
– Lo spazio ha unicamente uno scopo ludico?
Lo spazio ha uno scopo anche difensivo verso gli altri e anche questo “spessore” pur cambiando con l’età permane. Alcuni ragazzi di scuola media, ai quali era stato chiesto quale fosse per loro lo spazio ideale, avevano risposto che avrebbero voluto una cabina di vetro, dalla quale comunicare telefonicamente con l’insegnante: questo sta a significare il bisogno di comunicare con l’adulto, ma da uno spazio proprio, protetto e soprattutto senza interferenze nel processo comunicativo. Altri ragazzi, invitati a esprimersi sul tema “Costruiamo una scuola ideale” , avevano proposto, tra le altre cose, uno spazio definito il “pensatoio” , cioè un posto dove andare sia in solitudine che in gruppo.
Emerge da questi esempi un bisogno di spazi aggreganti, che abbiano al loro interno anche una dimensione individuale.
Una volta questi bisogni li assolveva in parte, il cortile, che resta un importante luogo di socializzazione anche oggi, non soltanto perché aggrega, ma anche perché offre ai bambini
un’alternativa di gioco sociale alla fruizione solitaria della televisione.
– In che misura lo spazio sviluppala capacità di “orientarsi” del bambino?
Più che di capacità di orientamento, parlerei di capacità di rappresentazione spaziale di luoghi dove il bambino vive: la strada, la città, il quartiere. Un bambino molto protetto, che esce raramente da solo, ha difficoltà a rappresentarsi questo “fuori” perché non lo conosce. Il fatto di “andare in giro” lo aiuta ad ampliare le sue mappe cognitive, che sono anche affettive, perché ogni luogo conosciuto ha una valenza affettiva, positiva o negativa, che resta nel bambino. I luoghi non sono mai neutrali, ma si caricano di significati simbolici in rapporto alle esperienze che vi si fanno.
– Lo sport organizzato può essere sostitutivo del bisogno di gioco all’aperto?
Lo sport è utile per motivi fisici e psicologici (può contribuire a creare fiducia in sé stessi), ma non può sostituire il gioco libero. La differenza sostanziale sta nel fatto che giocando il ragazzo inventa situazioni nuove, sfrutta la sua creatività, impara a organizzarsi, a distribuire i ruoli e a rispettarli.