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Che il tablet non regni sovrano …

di Jaime D’Alessandro

Non importa a che età si regala il primo smartphone ai figli, ma è fondamentale stabilire con piccoli e adolescenti regole precise sul suo uso

“Il problema non è mai l’iperconnessione dei bambini o dei ragazzi. Quella al massimo è un sintomo di una difficoltà che ha altrove le sue radici”. Federico Tonioni, psichiatra del1’Università Cattolica del Sacro Cuore che al Policlinico Gemelli di Roma dirige il primo ambulatorio pubblico ad essersi occupato delle dipendenze da Internet, non ha nessuna intenzione di mettere sul banco degli imputati il digitale. Anzi, trova che sia la scusa preferita usata dai genitori per non prendersi delle responsabilità. Iniziando da quella di non dedicare a loro abbastanza tempo mentale lasciandoli da soli davanti ad un iPad.

Insomma, la dualità del rapporto che si ha con la tecnologia è questione degli adulti. Da un lato l’uso che i più piccoli fanno di tablet, pc, console, genera nei genitori ansia e paure, dall’altro però gli stessi genitori adoperano questi strumenti come babysitter. Stando a Tonioni, ad esempio, non esistono nemmeno vere e proprie patologie legate al troppo uso della Rete o della tecnologia. «La mente dei bimbi è liquida», continua. «Quando la si colpisce è come dare un pugno a un secchio d’acqua, sembra faccia danni enormi finché l’acqua non si cheta di nuovo. Se i bambini non avessero questa capacità, impazzirebbero. La loro mente liquida può essere però modificata dai cambiamenti del contenitore nel quale è raccolta: la famiglia». Il sottotitolo è semplice e chiaro, secondo lo psichiatra, sono le responsabilità. Altrettanto semplice il consiglio. «Passate più tempo con loro, del tempo di qualità. I bambini e i ragazzi se ne accorgono quando non ci state con la testa. Divertitevi con loro››.

Una guida più pratica per genitori all’uso della tecnologia da parte dei figli l’ha scritta il National Center for Missing & Exploited Children (Ncmec), organizzazione no profit fondata dal Congresso degli Stati Uniti. Sono regole di buon senso, a partire dal quando dare uno smartphone. Non c’è un’età precisa, si parte dalla constatazione che se nostro figlio è sempre vicino agli adulti – dall’insegnante ai nonni fino alla tata – non ha alcun bisogno di un telefono. Si passa poi al contratto o accordo che dir si voglia: ovvero stabilire che il telefono viene dato a certe condizioni e che deve essere usato solo in certi casi. Le regole si concludono con un monito: «Più ne sapete, meglio riuscirete a proteggerli». Intendendo per “sapere”, la conoscenza degli strumenti tecnologici e in particolare dei videogame. Alcuni titoli, come i post Minecraft, possono essere delle splendide palestre di creatività da frequentare assieme ai bambini e agli adolescenti.

Altri, come Clash Royale, sono invece delle slot machine pensate per spillare soldi ai ragazzini che a loro volta li sottraggono ai genitori. Saper distinguere è la base di partenza. «I giochi elettronici hanno caratteristiche uniche nella storia. Altrimenti non si spiegherebbe il fascino che esercitano››, spiega Enrico Castelli, filosofo nonché insegnate delle scuole medie con un passato come professore all’École des hautes études di Parigi e alla Sapienza di Roma. «Un fascino feroce e trasversale. Si perdono tutti, di qualsiasi estrazione sociale, cosa che prima non accadeva con altre forme di intrattenimento. L’aspetto più preoccupante? La perdita nei ragazzi di contatto con la realtà, tipica del giocatore d’azzardo patologico». Nelle forme più gravi diventa una sorta di sindrome da “ritiro sociale”, perché si sta sempre online, lontano da tutto. È un sintomo di un problema legato al1’affettività. E colpisce gli adolescenti che non riescono a farei conti con l’esterno e si esiliano fra i pixel di qualche videogame dove hanno un’immagine idealizzata di se stessi e dove scaricano la rabbia abbattendo i nemici. «Ma intendiamoci: un telegiornale è molto più violento di un gioco››, sottolinea Tonioni. Che poi ricorda un aspetto banale, ma importante: il non confondere il vivere connessi, che è segno dei tempi, con l’adolescenza. «è giusto che gli adolescenti facciano gli adolescenti. Sarebbe grave se non esistessero conflitti e sarebbe preoccupante se non ci fosse ribellione. L’iperconnessione è parte del loro percorso. L’unico vero campanello d’allarme, che però non va chiamato disturbo, è proprio l’allontanarsi da tutto rifugiandosi nel digitale». Che può essere ancor più devastante quando i ragazzi si trovano a frequentare scuole che anacronisticamente rifiutano la tecnologia e che, quindi, sono incapaci di insegnare come attraversare questi territori. «Tanto per citare un caso››, conclude Castelli, «i miei studenti spesso sono abili nel gestire uno schermo tattile ma non sanno distinguere fra i risultati che gli fornisce un motore di ricerca confondendo fonti certe con altre inaffidabili››. Perizia e ignoranza al tempo stesso. Anzi, alla stessa età.

 

“Ma sono i genitori che devono dare il giusto esempio”

Caterina Pasolini intervista lo psicologo Maiolo

“A dieci anni è già tardi. Per costruire un rapporto sano dei bambini con le tecnologie, dall’iPad agli smartphone, bisogna cominciare a parlargliene quando vanno all’asilo, a 3 anni». Giuseppe Maiolo, psicologo e psicoanalista, è docente di Educazione alla sessualità alla Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, si occupa di adolescenza e di prevenzione del disagio giovanile e della famiglia. Di ragazzini e tecnologie se ne intende, e ne parla nel suo ultimo libro, già in ristampa Genitori 2.0, educare i figli a navigare sicuri, Meridiana edizioni.

Vietare iPad e smartphone ai più piccoli?

«No, ma bisogna stabilire regole fisse su tempi e modi, condividerne a lungo l’uso prima di lasciarli nelle loro mani. E soprattutto cominciare a spiegar loro cosa sono, come si usano, quali sono i rischi e i pericoli, e farlo a tre anni. Dopo sanno già tutto: quando vado alle materne a raccontare le favole i bambini riconoscono il mio modello di telefonino. Mi è capitato con una bambina di 4 anni, sapeva già cosa è il sexting».

Quali regole consiglia di adottare?

«Intanto dire loro quando si usano: non a tavola, non al cinema, non di notte, cosa che i ragazzini fanno invece regolarmente mentre i genitori pensano dormano. Ci vuole un limite di tempo, per divertirsi con le tecnologie perché devono anche imparare cos’è la noia››.

La noia è utile?

«Ora i bambini, rispetto alle generazioni precedenti che passavano i pomeriggi sbuffando e guardando il soffitto, la combattono con le tecnologie. Sono incapaci di reggere la noia, la vivono come frustrazione, hanno subito bisogno di una botta di adrenalina da Ipad o smarthphone».

Limitazioni rispetto al1’età?

«Direi niente internet fino a sette anni, e comunque prima di quel1’età bisogna usare le tecnologie insieme a loro. Giocare, navigare con loro in modo da condividere interessi e percorsi. Ma la cosa più importante è dare il buon esempio, cosa che spesso non si fa».

I genitori non danno il buon esempio?

«Gli adulti in generale. Come si può pretendere che i bambini o i ragazzi non mandino in giro e ricevano foto, abbiano il senso della privacy, non usino il telefonino a tavola se vedono i genitori piazzare su fb foto della loro vita in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo anche il più privato? All’ora di pranzo i “grandi” hanno, spesso, gli occhi sul display. E si resta tutti senza parlare».

La Repubblica, 9 NOVEMBRE 2017

 

 

 

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