La formula danese per la felicità
Nel Paese del Lego i ragazzi sono lasciati liberi di sporcarsi, di correre rischi e di lottare. Un modo per farne adulti consapevoli. E appagati
Jessica Joelle Alexander
Prima o poi tutti ci siamo ritrovati a riflettere su cosa voglia dire essere genitore, ma vi siete mai chiesti cosa significhi essere un genitore italiano e in che misura la nostra cultura condizioni quello che consideriamo il modo giusto di esserlo? In Norvegia, per esempio, di norma i genitori lasciano dormire i figli fuori con temperature che raggiungono i venti gradi sotto lo zero, in Belgio ai bambini viene permesso di bere birra e in Giappone i ragazzini di sette anni vanno in metro da soli. Per quanto queste abitudini possano risultare quanto meno bizzarre ai nostri occhi, quei genitori pensano che quello sia il metodo giusto.
Le convinzioni che abbiamo riguardo al crescere i nostri figli sono ciò che Sarah Harkness, docente di Evoluzione umana alla University of Connecticut, definisce “etnoteorie parentali”. Tali principi sono così radicati dentro di noi da renderci quasi impossibile qualsiasi analisi oggettiva. Ma cosa accadrebbe se per un istante ci togliessimo queste spesse lenti dell’appartenenza culturale e provassimo a guardare le cose da un’altra prospettiva? Cosa accadrebbe se guardassimo attraverso quelle del Paese più felice al mondo e ci accorgessimo che il loro metodo per relazionarsi con i bambini e crescere i figli ha tutte le carte in regola per poter essere considerato molto efficace, forse il più efficace? C’è qualcosa che potremmo imparare? Che cosa accadrebbe se scoprissimo che andare in quella direzione in effetti potrebbe risultare un gioco da ragazzi?
La Danimarca, terra dei Lego e della Sirenetta di Hans Christian Andersen, dichiarata il Paese più felice del mondo dalla classifica stilata ogni anno dalle Nazioni Unite da quarant’anni, ha un’idea del gioco diversa dalla nostra: si ritiene infatti che una delle attività più importanti in cui un bambino può impegnarsi è giocare in modo non organizzato e senza la guida di un adulto. I danesi non credono nella necessità di riempire le giornate dei bambini con attività come il nuoto, il calcio, il teatro o lezioni di inglese, perché ritengono che per i piccoli sia più importante passare il tempo a giocare tra di loro. «In Danimarca il gioco libero è considerato fondamentale, non opzionale» dice Dorthe Mikkelsen, insegnante danese in una Fritid skole (una cosiddetta scuola del tempo libero dove, dopo l’ orario scolastico, i bambini sono incoraggiati soltanto a giocare). «Sappiamo che si tratta di un aspetto fondamentale per lo sviluppo completo del bambino. In questo modo apprendono l’ empatia, la capacità di mediazione e l’autostima».
Per anni infatti gli scienziati hanno osservato il gioco nel mondo animale per cercare di comprenderne lo scopo evolutivo, e tra le varie cose che hanno scoperto c’è che il gioco è fondamentale per imparare a gestire lo stress. Dondolare da una sbarra, giocare alla lotta, inseguirsi e stabilire una relazione proficua con l’altro sono tutti aspetti necessari nel gioco. I bambini si infilano in situazioni complicate come nella lotta, o fingendosi degli aeroplani e lo fanno per mettersi alla prova, per testare inconsciamente la propria capacità di gestire la situazione contestuale e i propri limiti. Il gioco li aiuta a scoprire i propri meccanismi di reazione, autocontrollo e capacità di ripresa, fattori ritenuti chiave per il raggiungimento della felicità.
Spesso noi genitori ci facciamo incastrare dall’idea degli stimoli intellettuali e iscriviamo i nostri figli a un numero infinito di attività per convincerci che stiamo facendo abbastanza per loro. Raramente sentiremo un genitore dire con serenità: «Mi basta che mio figlio giochi, che si diverta». Avvertiamo anche la pressione esterna a dover fare di più per loro, oltre a quella che ci infliggiamo da soli, e così si viene a creare una spirale di stress che aumenta in maniera esponenziale. In un certo qual modo ci sentiamo in colpa nel lasciare che i nostri figli giochino liberamente. Malgrado tutte le ricerche confermino i benefici educativi del gioco e il fatto che il Paese più felice del mondo lo abbia elevato a teoria dell’educazione fin dal 1871. Per non parlare della Finlandia, che ha una visione del gioco simile a quella dei suoi vicini scandinavi ed è una delle nazioni più autorevoli nel campo dell’educazione in età evolutiva. Senza contare che molti genitori sentono il bisogno di intromettersi o di accorrere per proteggere i figli nelle rare occasioni in cui questi sono stati lasciati liberi di giocare. Non vogliono che si facciano male, che bisticcino o che si sporchino, ma è esattamente da questo tipo di esperienze impegnative (sia dal punto di vista fisico che verbale) che i bambini apprendono di più.
Non esiste alcun piedistallo, premio speciale o trofeo nel gioco. Non essendo alla ricerca costante di approvazione dal mondo adulto, come una punizione o una ricompensa, i bambini scoprono la propria pulsione interiore e il senso del controllo sulla loro vita. Sono spinti a proseguire il gioco e a mantenere viva la loro immaginazione. Se noi adulti riuscissimo a farci da parte e gli concedessimo maggiore fiducia i nostri figli imparerebbero a credere in loro stessi. Ciò costituirà le basi per una reale autostima e fiducia in loro stessi, che sono le solide fondamenta di una vita felice.
Perciò, durante le prossime vacanze, mentre correte di qua e di là, riflettete sull’opportunità di prevedere più tempo per il gioco e meno per le attività organizzate. Provate e tirar fuori qualche giocattolo, qualche strumento utile a far esprimere la loro creatività artistica o a predisporre un ambiente in cui voi possiate evitare di dire «No». Portateli fuori, a contatto con la natura, lasciate che si sporchino, che corrano dei rischi.
È interessante notare che la Lego, la principale azienda di giocattoli a livello mondiale, nasce dall’idea di un falegname danese che, nel 1932, si trovò a osservare un gruppo di bambini mentre giocava e sfruttava la propria immaginazione. La parola Lego è una contrazione dell’espressione leg godt, ossia “giocare bene”. A quell’epoca i danesi erano già consapevoli che giocare bene è il primo mattone di una futura architettura.
Guardando alla felicità del popolo danese e ai risultati delle numerose ricerche in materia, sembra proprio che valga la pena sforzarci un poco e provare a mettere in pratica alcune delle abitudini lì molto diffuse. E magari potremmo imparare qualcosa, anche noi genitori.
Jessica Joelle Alexander è un’autrice e saggista americana: è sposata con un danese e vive in Europa.
Ha scritto con Iben Sandahl il bestseller Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni, pubblicato in Italia da Newton Compton