Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Almanacchi per l’anno nuovo?
Sì signore.
Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Oh illustrissimo sì, certo.
Come quest’anno passato?
Più più assai.
Come quello di la?
Più più, illustrissimo.
Ma come qual altro?
Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Signor no, non mi piacerebbe.
Nel ciclo della natura ci ritroviamo a iniziare un nuovo anno. Possiamo porci anche noi le note domande di Leopardi sul concetto di tempo, sulla delusione del passato, sull’illusione del futuro.
Non ci abbandoniamo alla riflessione filosofica, ma restiamo ancorati alle vicende che riguardano da vicino la professione dell’educatore e l’infanzia.
Il passaggio da un anno all’altro non muta il panorama, come non sembra suggerire spunti di mutamento il passaggio da un governo a un altro.
Ci portiamo dietro difficoltà, contraddizioni, equivoci che non rendono facile orientarsi nel quadro generale.
Restiamo in attesa dell’evoluzione della legge delega, sempre più appesa a un filo, sempre più vuota di contenuti. L’accettazione da parte della Consulta del ricorso della Regione Puglia, mette in discussione il comma 181, lettera e), punto 1.3 (Definizione degli standard strutturali e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia nell’ambito dei principi e dei criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa sul nuovo sistema 0/6)[1].
Si troverà l’escamotage per portare a casa la delega, ma certamente questo ulteriore intoppo non facilita il processo.
L’aspetto a nostro parre più preoccupante, è la mancanza di attenzione e di attese rispetto alla riforma prevista dalla legge. In tempi passati su temi così significativi, esisteva un fervento, una partecipazione da parte dei soggetti coinvolti (collettivi e individuali). Oggi ci sembra di cogliere rassegnazione e indifferenza.
Non viviamo in un mondo che inviti all’entusiasmo, molti sono i problemi urgenti nel quotidiano, sciagure non lievi hanno segnato la vita in molte regioni italiane nello scorso anno, ma è necessario rialzare la testa, immaginarsi una prospettiva.
E stranamente, in un generale disincanto e un diffuso senso di antipolitica, sembra che ci stiamo affidando completamente all’evoluzione di una proposta di legge che segue un suo percorso in recondite stanze alla mercé di decisioni che provengono da soggetti più attenti alle regole della finanza che sensibili alle esigenze dell’educazione.
Abbiamo esaurito il nostro compito firmando a sostegno di una proposta di legge e deleghiamo ora tutto ai funzionari ministeriali e alle logiche dei tagli di spesa?
Ci manca un piano di riflessione, di partecipazione, di pressione che tenga la rotta. Dobbiamo ritrovare l’entusiasmo per ricordare che l’educazione è costruzione del futuro e non passa solo attraverso la salvaguardia o l’allargamento di posti, la distribuzione di qualche mancia attraverso “bandi” che affidino al privato l’elaborazione delle politiche.
Abbiamo bisogno del contributo di tutti, ma principalmente abbiamo bisogno di chiarezza nei ruoli, di recuperare il senso della partecipazione democratica e del primato della Politica (con la P maiuscola non a caso).
“La costruzione, e soprattutto la pratica, di contenuti educativi non può realizzarsi che attraverso una riflessione permanente e permanentemente critica del ruolo e del valore che essi in realtà rivestono nella contemporanea formazione degli individui e di una società destinata ad accoglierli”(Loris Malaguzzi).
Abbiamo bisogno di una seria riflessione di chi è l’infanzia oggi, quali sono le caratteristiche della società in cui si nasce oggi. Servizi educativi nati come risposta alla società della fabbrica, dei tempi di lavoro standardizzati, quali riflessioni debbono assumere oggi?[2]
Può essere ancora dominante l’organizzazione del lavoro interno ai servizi rispetto alla vita reale, al fluire di altri tempi, di altre esigenze e prospettive?
L’organizzazione delle sezioni che si è consolidata nel tempo, risponde ancora all’oggi?
Cosa ci guadagna oggi un bambino a frequentare il nido e la scuola dell’infanzia?
Sono molte le domande non nuove, che dobbiamo riproporci. A partire dall’interrogarci eviteremo che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi.
[1] La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo il punto 1.3 affermando, sulla base di un suo precedente orientamento del 2005 in tema di asili nido, che la definizione di standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia, diversificati in base alla tipologia, all’età dei bambini e agli orari di servizio, è di competenza delle Regioni.
Un elemento di cui il Ministero dovrà tenere conto nell’attuazione della delega che è in fase di preparazione e punta a incrementare e qualificare i servizi educativi per l’infanzia su tutto il territorio nazionale per rendere omogenea la distribuzione territoriale, superando le attuali differenze.
Restano infatti fermi tutti gli altri principi previsti dalla 107 fra cui, ad esempio, la qualificazione universitaria e la formazione continua del personale dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia; l’esclusione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale; l’approvazione e il finanziamento di un piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato; la promozione della costituzione di poli per l’infanzia per bambini di età fino a sei anni, anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi.
[2] Chiunque affronti un progetto pensa ad azioni destinate a trasformare situazioni esistenti in situazioni desiderate. (Loris Malaguzzi)